lunedì, ottobre 31, 2011



IL TEOREMA DELL'ARTIFICIERE


Una caratteristica dell'apprendimento è il continuo re-imparare. Informazioni, nozioni o concetti che si sa di sapere ma che una volta riesaminati, rimasticati ci sembrano meglio capiti o addirittura finisce che li consideriamo sotto una luce del tutto diversa.

Al recente seminario autunnale della nostra scuola di Jiu Jitsu, nel descrivere la sostanziale complessità del registro tecnico dell'arte suave, il mestre Tisi ha così chiosato: "Nel BJJ devi conoscere a fondo anche posizioni che non gradisci e che non userai, altrimenti diventa impossibile difendersene. E' come nella professione di chi disinnesca le bombe: si deve saperle costruire anche se non se ne piazzerà mai una".

Il BJJ richiede al praticante di studiare dozzine e dozzine di posizioni, variamente distribuite tra proiezioni, passaggi, escapes, raspados, finalizzazioni e via discorrendo. Le combinazioni e le varianti sono praticamente infinite e quel che è peggio è che nuove guardie esotiche, sottomissioni astruse vengono dimostrate in gara praticamente ogni giorno. Le basi sono quelle, ma anche restando attaccati alla più old delle schools il novero di roba da sapere a menadito non è piccolo. 

Come fare a essere abili artificieri allora?

Tanto sudore. Passare giornate intere sul tatami, e vabbene, ma anche avere sempre una certa umiltà che ci ricordi quanto è impossibile non venire colti in fallo se, dopo anni di esperienza, si finisce per "sedersi" e faticare a ripassare continuamente l'enorme corpus del Jiu Jitsu. Il guardero ostinato deve saper di passaggi in toreada, il passador più feroce di  De La Riva, X Guard etc.

Io che ho il 4 davanti la seconda cifra all'anagrafe, che del BJJ non sono certo un campione né un fine esecutore (e che di questa stupenda arte privilegio l'aspetto pratico, per il combattimento reale), ho ben poca speranza di poter impiegare con successo esotici arzigogolamenti con le tibie sul petto dell'avversario, o con dispaly di somma agilità virtuosimi da yogi consumato. Chi mi frequenta sa che io credo fortissimamente nel sistema classico, nelle basi granitiche e antispettacolari: proietta-passa-finisci, OK. C'è un però: se le cose che mi piace fare e che so fare nella mia limitatezza voglio avere una speranza di riuscire  a impiegarle contro chi invece ha la giovinezza e il talento nonché la sinuosità, bisogna che conosca i suoi punti forti.

Un baldo 90kg di giovanotto come me (ehm..) fa meglio a entrare a bazooka sulle gambe, lanciare e trivellare l'opponente sul pavimento, passarlo piantarlo sotto una montada da 30000 atmosfere, e annegarlo in un barrage di finalizzazioni, questo io credo. Se però mi fisso soltanto su quello che mi viene meglio e che suppongo di saper fare a sufficienza (pia illusione), che speranza posso avere con un avversario che non gioca con le mie regole, che impiega una strategia a me ignota?

Quando l'artificiere s'approccia all'ordigno, le sue speranze di riportare il culetto a casa sono tanto alte quanta è stata ampia la sua capacità di tenere aperta la mente, di studiare ogni novità nel campo esplosivi, di ripassare continuamente i modelli-base di bomba e incuriosirsi per quelli strani e poco praticati. Inoltre il nostro uomo non dovrà mai dimenticare di andare a rivedersi i vecchi modelli, le bombe vintage, quelle che tornano sempre fuori ogni tot, come i pantaloni a campana.

L'esempio è stato fatto da un foltocrinito professor di BJJ, ma è altrettanto vero se non di più nelle MMA, anzi. Le Mixed Martial Arts voi lo sapete io le vedo come una necessaria e fatale evoluzione agonistica del Jiu Jitsu, una sua "deriva" sportiva professionale da cui non si può prescindere. Quale metodologia di confronto  disarmato ha nelle sue corde l'idea di "artificieraggio" marziale, la pratica ininterrotta di tecniche che l'atleta di suo non cercherà quasi mai di piazzare perché non confacentiglisi. Anche in questo aspetto il BJJ e il suo alter ego gabbiesco si pongono totalmente agli antipodi delle sette marziali tradizionaloidi antiche o modernissime, spero si capisca. Saper fare, non collezioni di tecniche da seminario: nasi pesti e orecchie a cavolfiore.


lunedì, ottobre 24, 2011



REPORT SEMINARIO AUTUNNALE
CON FEDERICO


E come arriva l'autunno, coi suoi colori sfocati, le foglie imbiondite e l'odore delle caldarroste.. a Firenze cala il M° Federico Tisi.

E' questo il IX anno che Fede insegna ininterrottamente nel nostro capoluogo, il suo sodalizio di più vecchia data in assoluto.

Anche questo sabato è stato dedicato al Jiu Jitsu  puro e in particolare a tecniche dalla guardia chiusa adatte alla competizione. La proverbiale capacità didattica e l'umana simpatia del "Careca" hanno colpito nel segno, come sempre.

Molti e molto soddisfatti i partecipanti, giunti da molte regioni d'Italia per studiare e migliorare. Alla fine un ora di rodeo inzuppato di hard rock, come si conviene e come ci piace fare.

La domenica mattina è stato di scena il Crossfit.

Federico si è appassionato a palla e poi impadronito della metodica oltre che delle certificazioni di questo sistema di allenamento fisico oggi così sugli allori e -per il primo doppio appuntamento mai organizzato da noi- abbiamo scelto di offrire al nostro pubblico la possibilità di esplorare questa innovativa scienza, a un prezzo molto più 'umano' di quelli che si trovano reclamizzati in giro. Un variopinto gruppo di personal trainer, maestri di KaliLotta, Kickboxing, Sanshou e Boxe, istruttori& agonisti di BJJ e semplici "profani" ha seguito e gradito assai la complessa ma esaustiva e appassionata esposizione del Tisi-nazionale. 

Come di prammatica ringraziamo il docente, i nostri centuriati insegnanti e atleti delle sedi di Firenze, Pontassieve, Pistoia, Figline Valdarno, e gli ospiti venuti da fuori: è stato una bellissima due giorni, con oltre 50 partecipanti che hanno toccato il tatami dell'accademia in questo eccezionale evento. 

Marziali saluti gente, a breve altri ospiti di livello internazionale saranno da noi.




sabato, ottobre 15, 2011



MEGLIO SOLI E BENE ACCOMPAGNATI


L'arte marziale che io pratico e insegno, il Jiu Jitsu stile brasiliano, insieme con alcuni altri stili di lotta corpo a corpo, è da ritenere un paradosso all'interno delle classificazioni degli sport: la nostra arte si presenta allo stesso tempo come sport agonistico e individuale assieme.

Picchiarsi è affare individuale, non c'è nessuno che si senta più isolato nell'universo di chi scende su quel quadrato (per non parlare della gabbia delle MMA). Il test agonistico nasce appositamente per far confrontare il combattente con le sue paure e dargli forza d'animo, e da questo punto di vista il match è quanto di più individualistico esista nella condizione umana.

Eppure il Jiu Jitsu e consimili sono sport di squadra a un livello sconosciuto anche ai più aggregativi dei giochi con la palla. Ogni jitsuka sa benissimo che le sue chances di vittoria sono legate al profondo e proficuo scambio che riesce a intessere coi propri compagni di team nei duri allenamenti. Prime donne, arrogantelli e bulli non durano nelle nostre squadre, vengono prima marginalizzati a suon di armlock pesanti e poi finiscono per migrare altrove al momento che la gente o non ci lotta più insieme o quando lo fa trasforma il rolling in una lotta all'ultimo sangue, improduttiva per creare sviluppo tecnico. Essere dei Totti gasati a 5000 atmosfere di elio nel Jiu Jitsu è semplicemente impossibile, impraticabile. Tutti lottano con tutti, tutti perdono davanti a tutti e tutti sentono con la pancia almeno quanto tutti siano uno.

Nel mitico Rugby l'individuo è disciolto nel collettivo, nell'orrido Calcio il collettivo è un palcoscenico per gli individui narcisisti. Nel Jiu Jitsu invece ogni lottatore, anche la cintura bianca alla 2a gara, sa alla perfezione che il suo valore e la sua determinazione sono direttamente proporzionali alla qualità di rapporto umano e tecnico che ha saputo intessere nelle interminabili ore sulla materassina. Da questo punto di vista rende perfettamente il senso della cosa lo slogan commerciale di un network internazionale di BJJ: "Organizzati come un team, combattiamo come una famiglia".

Mesi e anni a strusciarsi dolorosamente contro il compagno non possono passare invano, si crea una chimica che gli sport-solo-sport non sanno nemmeno immaginare. Ecco che l'arte suave assurge a metodo educativo, il quale utilizza lo strumento della competizione per affinare nell'allievo le qualità morali e psicologiche che l'arte ha codificate nel suo DNA originale. La competizione è sacra, la competizione è linfa, la competizione è aria pura che soffia sulle nebbie del mondo borghese, è vita, ma la gara NON è BJJ proprio per niente. Gareggiamo per vincere ma NON facciamo BJJ per gareggiare, la nostra è una scelta di vita a 360° o almeno dovrebbe esserla.

Questa realtà e questi insegnamenti, piantati a suon di strangolamenti nelle vene dei praticanti, fruttificano in maniera diversissima a seconda dell'attitudine della persona verso cose metafisiche e spirituali, non siamo tutti uguali. Resta il fatto che chi varca la soglia di una seria accademia di Jiu Jitsu va incontro a qualcosa di evolutivo della persona umana nella sua interezza, e questo panorama sconfinato ha al suo interno le doti dello sport insieme più individuale e più di squadra che possa esistere.








domenica, ottobre 09, 2011




LA FORTUNA DI PRATICARE il BJJ



Riccardo"Riccardone"Casini è un atleta del Centurion; si allena presso la nostra sede di Pontassieve


Salve, mi presento: sono Riccardo Casini. Pratico il Jiu Jitsu Brasiliano da circa un anno e mezzo nelle fila del Team Centurion diretto da Mario Puccioni. Mi sono avvicinato a questa disciplina quasi per caso, in un momento molto difficile della mia vita. Grazie alla perseveranza e alla fiducia trasmessami da Mario e da Francesco Braccini, mio istruttore della zona Fiesole-Pontassieve, ho avuto a disposizione i mezzi necessari per la mia crescita personale, sia fisica sia, soprattutto, caratteriale. Andiamo nel dettaglio di questa storia, la mia storia.

Fino ad aprile 2009 ero un assiduo giocatore di pallacanestro che ebbe l’apparente grande opportunità (nella stagione sportiva 2008-2009) di partecipare a un campionato regionale impegnativo come membro di una squadra fiorentina che, ai quei tempi, andava per la maggiore. Nonostante l’impegno profuso negli allenamenti, non ho mai avuto l’occasione di mostrare le mie qualità agonistiche in campo. Non so perché si creò una situazione del genere, forse vi era un’ incompatibilità di visioni fra me e l’allenatore, forse non esisteva un’adeguata fiducia fra me e i compagni, nonostante un buon rapporto di amicizia che si era venuto a formare: fatto sta che alla fine fui messo fuori rosa per motivi disciplinari.

Esatto: fui messo fuori rosa perché non detti la mia disponibilità per tutti i match, in parte per motivi di studio e in parte per aver dovuto partecipare a un appuntamento importante della mia famiglia, evento di cui la direzione della squadra era stata messa a conoscenza già diverso tempo prima. Sia chiaro: feci queste scelte, giuste o sbagliate che siano, perché mi sentivo trascurato dalla squadra, raramente vedevo il campo e non pensavo assolutamente che il mio atteggiamento danneggiasse così l’ambiente della squadra. Fossi stato un giocatore importante mi sarei organizzato meglio, cercando di non creare mai situazioni di conflitto dove andavo. Ho la netta sensazione che la mia umiltà sia stata recepita, non so perché, dalla squadra come un atto di arroganza e mancanza di rispetto nei loro confronti.

Trascorsi quindi un periodo non felice, e ciò non fu dovuto all’esclusione dalla rosa ma al fatto che avevo disatteso, deludendole, le aspettative delle persone che mi sostenevano, in primis la mia famiglia. Non dico che la mia vita si trovasse in un vicolo cieco, consapevole com’ero del fatto che mi sarei levato delle personali soddisfazioni d’atro tipo proseguendo negli studi di Ingegneria Meccanica. E’ però vero che dentro di me sentivo di non essere in pace con me stesso, che avevo tutte le ragioni per difendere le mie idee e le mie scelte nonostante la situazione avversa che si era creata e i giudizi che avevo subito a seguito di questa esclusione.

Fortunatamente, un mese circa prima del fattaccio ebbi la possibilità di cominciare a frequentare il gruppo di Francesco. Seguendo il consiglio di mio padre che lo conosceva di persona, decisi di partecipare ai suoi corsi più che altro all’inizio con l’obiettivo di svolgere degli esercizi che mi servissero per migliorare la mia elasticità muscolare, visto che mi sentivo un po’ “legnoso”. Sono onesto: alle prime non capivo quanto potesse essere utile praticare il BJJ aldilà del contesto sportivo, anche se devo dire l’ambiente che frequentavo era sicuramente più rilassante e più socializzante di quello che percepivo negli spogliatoi della squadra di pallacanestro, il che sicuramente fece bene al mio animo che riacquistò quella serenità di cui avevo bisogno.

Dopo un’altra stagione sportiva avara di soddisfazioni (nel frattempo ero iscritto nell’ultimo campionato organizzato in Toscana), decisi di lasciare la Pallacanestro, concentrandomi unicamente sul BJJ. Mi resi conto che non avrei mai avuto la possibilità di dare il mio contributo in qualunque ruolo alla causa cestistica fiorentina. Optai tale scelta con schiettezza, pensando che, chiusa una porta, si potesse aprire un portone tramite il quale avrei vissuto nuove esperienze interessanti. Ebbi così l’occasione di conoscere bene l’Arte Suave partecipando con maggiore intensità agli allenamenti, frequentando i vari seminari in cui il Team Centurion era direttamente coinvolto e gareggiando con buoni risultati ad alcuni tornei disseminati in tutt’ Italia, e così cominciai ad apprendere quali implicazioni il BJJ poteva avere nella mia vita, interiore e sociale. 

Mi resi conto che tale disciplina mi poteva fornire di quei mezzi che mi servivano per affrontare con serenità le difficoltà che mi si paravano davanti nel corso della mia vita, e particolarmente darmi:

-       Disciplina
-       Autostima
-       Consapevolezza di sé
-       Salute fisica e psicologica
-       Spirito di sacrificio
-       Sportività
-       Rispetto nei confronti degli altri
-       ultimo della lista ma non per importanza, Amicizia

Tutte queste caratteristiche le riscontrai ogni qualvolta ero partecipe di un evento agonistico nel quale era richiesto di indossare il GI. In particolar modo rimasi particolarmente stupito, nei tornei, dell’atteggiamento sportivo che ciascun lottatore mostrava all’avversario e il pubblico nei loro confronti. Mai una discussione sul tatami a fine combattimento, mai che il pubblico esprimesse linguaggi volgari nei confronti dei lottatori o dell’arbitro; al massimo, qualche contenuto chiarimento fra l’arbitro e un lottatore e il suo team, e che veniva subito pacificamente risolto. Sui parquet del Basket invece capitava continuamente che un giocatore sfogasse le proprie frustrazioni insultando l’arbitro e gli avversari, dando origine a risse o a comportamenti che non si possono classificare confacenti all’etica sportiva. Anche il pubblico faceva la sua parte, insultando il direttore di gara ritenuto incompetente, i giocatori provocatori e quelli che sapevano giocare fin troppo bene per il loro orgoglio cieco. Grande la discrepanza anche negli allenamenti: nel BJJ gli istruttori svolgono il compito di costruire l’atleta cominciando dalla formazione dell’uomo e delle sue migliori qualità, riprendendolo quando serve ma con un atteggiamento al contempo deciso e pacato. Prima, tra i cestisti, appena compivo un errore, anche banale, si poteva sentire la voce dell’allenatore che rimbombava per tutta la palestra con un tono quasi animalesco, incontrollato. La differenza è abissale; Mario ci ripete sempre: “Il Jiu Jitsu NON è uno sport! Il Jiu Jitsu è un’arte, un'arte marziale che ha anche un aspetto agonistico.”

Queste esperienze fecero sì non solo che io uscissi definitivamente da quel periodo critico, che scoprissi anche una nuova parte di me, una che non avevo mai conosciuto e con la quale, penso, l’attuale società abbia di fatto proibito che io venissi a contatto, con ciò impendendomi di maturare in linea con la mia età e di vivere certe esperienze genuine come l’amicizia e l’amore. Ho l’impressione che i canoni di questa nostra società contemporanea impediscano ai giovani di crescere con un marcato senso di responsabilità delle loro azioni e relative conseguenze su di sé e sugli altri, e  pertanto li costringe a cercare di aggirarli con infantilità mediante soluzioni ad effetto placebo (per intendersi: alcool, droga, ma anche la malnutrizione, l’abuso di internet e tutte le devianze che il mercato offre e in cui la gioventù casca ingenuamente). Questa mancanza fa sì che un ragazzo si privi di certe esperienze formative e fondamentali, non avendo la possibilità di arricchirsi nello spirito e di apprezzare la vita con le sue croci e le sue delizie. Si tende a dare l’impressione di “proteggere“ i giovani dagli errori che subiscono a causa delle scelte sbagliate rendendoli invece sganciati dalla realtà, ma io ritengo che anche le sconfitte, così come le vittorie, siano parte integrante e necessaria della formazione caratteriale di un adulto autonomo, purché egli se ne assuma la responsabilità. Ho meditato queste riflessioni anche ripensando al mio passato, ad alcune situazioni che avrei potuto gestire meglio se solo io le avessi affrontate con maggiore senso di responsabilità, dote che non è insita nell’essere umano, ma che va insegnata con adeguati strumenti di crescita da parte di una società sana, basata sui quei principi che ho riscontrato unicamente nel BJJ, anche se ipotizzo che essi per logica possano essere riscontrabili in altre arti marziali realistiche. Qual è allora la differenza fra il BJJ e le altre arti da combattimento reale? Secondo me è nel fatto che esso può essere praticato da chiunque (ve lo dico dal pulpito della diretta testimonianza), anche da chi all’apparenza sembra di non possedere adeguati requisiti fisici per affrontare uno sport da combattimento.

Devo dire che all’inizio non mi sarei mai aspettato che il BJJ mi portasse a fare questo salto evolutivo sotto l’aspetto caratteriale. L’aver conosciuto un’arte marziale così formativa mi dà la possibilità di affrontare con ottimismo le gioie e i problemi che si presenteranno nel percorso della mia vita. Non so cosa mi riserverà il futuro, ma sono altresì certo che non ci sia vita migliore se non quella affrontata con la sicurezza in sé e con il cuore in pace per tutte le scelte che si opererà, anche se dovessero far storcere il naso a qualcuno.

Voglio concludere questo articolo citando una frase del compianto fondatore della Apple, Steve Jobs, che la pronunciò nel corso della cerimonia di consegna della laurea ad alcuni studenti dell’Università di Stanford, nel 2005.

“Il nostro tempo è limitato, per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro. Non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario”.

Marziali Saluti,
Riccardo Casini



domenica, ottobre 02, 2011


LA GEOGRAFIA DEL COMBATTIMENTO E 
DELLE MMA 





Alfred Marshall è noto come il “padre” della teoria dei distretti industriali. In due sue opere The Economics of Industry (1879) e Principles of Economics (1890) egli delinea le caratteristiche dei distretti industriali affermando che «i vantaggi della produzione a larga scala possono in generale essere conseguiti sia raggruppando in uno stesso distretto un gran numero di piccoli produttori, sia costruendo poche grandi imprese» dato che «per molti tipi di merci è possibile suddividere il processo di produzione in parecchie fasi, ciascuna delle quali può essere eseguita con massima economia in un piccolo stabilimento».

In parole povere, in un determinato territorio si viene a creare una produzione vincente perché o ci sono tantissimi piccoli imprenditori che generano una rete, o pochi mega competitori dotati di mezzi giganteschi. Che venga su dal basso o sia calata dall'alto è la storia di come si creano vincitori con una concentrazione di forze che si radicano in un'area.

Oggi noi possiamo osservare il planisfero terracqueo e delineare con un certa precisione i "distretti del combattimento", le zone che si sono affermate sulle altre per qualità e che, al momento attuale, sono i bacini a cui il prodotto-MMA fa riferimento.

I paesi leader sono 2: USA e Brasile

Gli Stati Uniti hanno il cash, quelle mega accademie professionali che permettono l'esempio n.2 di Marshall, il Brasile ha il vivaio.

Ripartendo il mappamondo sulle modalità vediamo:

USA: Wrestling, Boxe

Brasile: Jiu Jitsu

Paesi Bassi: Kickboxing

Thailandia: Muay Thai

Avendo questi paesi delle arti 'nazionali' (in USA prese dal colonizzatore britannico, in Olanda dagli emigranti) su cui storicamente hanno investito tantissimo, non è difficile capire come nella globalizzazione delle competenze oggi abbiano la posizione di rilievo relativa.

C'è poi una seconda fascia di nazioni, dotate di lunga tradizione marziale nazionale e non solo, che seguono le prime 4 come fucine di talenti.

Giappone, Russia, Messico e UK oggi mettono su piazza dei lottatori con caratteristiche nazionali ben riconoscibili ma il cui livello medio non arriva pari a quello del leading duo né hanno una produzione DOC nelle modalità da rivaleggiare con gli artigiani più raffinati delle 4 aree d'eccellenza.

Tengo a precisare che ovviamente queste sono approssimazioni, ogni statistica fa default se messa al microscopio. I grandi numeri però ci danno indicazioni sul presente e qualche dato per l'avvenire.

Chi dominerà le MMA nel 2012? Facile, vabbè.

Nel 2022? Io dico certamente non l'Italia, la quale non investe (eufemismo) sulle sue eccellenze che pur vi sono, e che si vedrà dunque superare anche da paesi al momento ai primordi di questo sport se qualcosa non cambia. 

Eromperà la forza demografica del gigante cinese?
Si sveglierà dal torpore la grande madre russa? Arriveranno i neri africani?

Io ho delle idee al riguardo ma contano come il 2 a Briscola, saranno i fatti a parlare. 

La teoria dei distretti industriali ci viene qui in aiuto su COME creare un volano di crescita. In Italia siamo stati tradizionalmente dei maghi a mettere in piedi alcuni delle migliori produzioni specializzate con la rete dal basso, l'artigianato messo in network. Visto che siamo una colonia schiacciata dal nemico invasore, l'investimentone  fatto calare da un capitalista dall'alto è del tutto impensabile, e così anche il supporto delle (anti-)isitituzioni. Se vogliamo far cassetta DOBBIAMO creare aree geograficamente ristrette in cui ci sia una grande pluralità di soggetti laboriosi e intenti sul prodotto, e che copra tutta la filiera, tipo il tessile dei vecchi tempi a Prato per capirsi.

Gli italiani sono un po' anarchici e individualisti, e su questo hanno sempre puntato gli stranieri per invaderci e metterci l'uno contro l'altro e quindi sotto. "Franza o Spagna purché se magna" e altre perle di qualunquismo del genere sono il risultato di secoli di ottusità. 

La mia ricetta ricalca quella che fu vincente in altri campi della nostra storia economica: moltiplicare a 1000 la base artigianale (le modalità) e con il movimento che si viene a creare tipo pulviscolo (gare e garette, negozi di settore, corsi di ogni genere, piccola pubblicità sui media secondari, passaparola) si inneschi la massa critica su cui far detonare un prodotto internazionale. La moda, il Made in Italy che si vende nel mondo, ebbe questa derivazione, lo stesso nella produzione vinicola o il comparto calzaturiero etc. In Italia abbiamo il genio, siamo innovatori per natura, ma ci dobbiamo scrollare di dosso il provincialismo e i figli di mignotta che lavorano per il Re di Prussia.

Crescono le modalità = crescono le MMA, e viceversa.

Dalla sartina che cuce in cucina alla multinazionale Armani c'è un sistema che lavora all'unisono, dal piccolo tornitore alla Ferrari. Non crediate che la moda ai suoi esordi sia stata aiutata dai politicadri (politicanti ladri), un cavolo! Solo che quando si viene a creare una massa in movimento con i guadagni corrispondenti, allora il fenomeno si radica a livello territoriale e anche i mangnoni a ufo si debbono far vedere supportivi un minimo.

Al momento vedo candidatissimo a distretto marziale italiano DOC l'Urbe, Roma. Lì c'è un reticolo di accademie di Jiu Jitsu, c'è la Lotta tramite i gruppi sportivi militari, ci sono la Boxe e scuole di MT/Kickboxing, c'è una base di fans e ci sono i fighter di respiro internazionale, e c'è almeno una accademia professionale di MMA con gestione seria, la Hung Mun. C'è stato anche qualche buon esempio di imprenditoria di settore con l'XC-1 nella Capitale, e quindi con i palazzetti a disposizione (le infrastrutture) nei fatti abbiamo già il "Chianti delle Mixed Martial Arts", manca solo rendersene conto e fare sistema, fare etichetta mettendo ai margini praticoni e dilettanti che non rispettano lo standard.