lunedì, dicembre 01, 2014

INTEGRARE O NON INTEGRARE IL JIU JITSU?




"Ciao Mario,


seguo da tempo il tuo blog e mi piace tantissimo e condivido gran parte delle cose che dici .Soprattutto quando parli di efficacia, naturalità, psicologia e anche limiti. Ho praticato arti percussorie da quando ero piccolo, inutile raccontarti la mia storia, sta difatti che amo il Jiu Jitsu e lo scelgo sopra tutti gli stili e lo pratico tutti i santi giorni per la sua efficacia. 

Volevo avere una tua opinione al riguardo: a me interessa molto la psicologia e sopratutto ciò che riguarda la paura. Leggendo vari libri ho scoperto che una persona in una situazione di pericolo, per un questione di impulsi nervosi, ormoni, ossigenazione etc che non sto a spiegare, fa solo quello che è abituato a fare in una determinata situazione. Ovvero se mi alleno tutti i santi giorni a fare un determinata cosa come risposta ad una determinata situazione quando si presenta quella situazione e sarò spaventato, il mio corpo per via della paura mi farà agire senza pensare e automaticamente nel modo esatto che ho allenato. I libri spiegano però come l'automatismo da creare deve essere quello esatto altrimenti in una situazione di paura non penserò e automaticamente farò la cosa sbagliata e rischierò la vita. Lo stesso vale quando alla stessa situazione alleno più di una opzione, in una situazione di paura il cervello ci metterà più tempo a capire quale automatismo scegliere e cosi rischierò la vita. Cosa c'entra questo col realismo marziale? 

In un tuo recente articolo scrivesti dei limiti del Jiu Jitsu e tra questi c'era la mancata conoscenza dello striking.. Non condivido questo punto in quanto non penso sia un limite. Mi spiego meglio: il Jiu Jitsu insegna che contro un omone più grosso e incavolato scambiare è fallimentare, e conviene chiudere la distanza nello stesso timing dell'aggressione. Quindi sarà questo l'automatismo da creare, chiudere la distanza. Ma se alleno anche lo striking ... beh, gli automatismi saranno due e uno di questi è fallimentare. In una situazione di paura il cervello non pensa e potrà fare la cosa sbagliata, quindi perché pensare al BJJ senza percussione è un limite???

Vengo da 12 anni di pugilato agonistico e l'istinto di scambiare con avversari più grossi pesanti e alti era per me tanto naturale quanto fallimentare. Ora pratico Jiu Jitsu brasiliano da 3 anni e oltre alla difesa personale la mia vita è migliorata in molti suoi aspetti, però credimi quanto è stato difficile imparare a chiudere la distanza sui colpi anziché scambiare. Ora mi alleno nel Jiu Jitsu tutti i giorni e l'automatismo è cambiato. Chiudere la distanza è diventato naturale più di chiudere gli occhi guardando il sole, ma per farlo ho dovuto totalmente evitare di allenarmi a scambiare per un bel po' di tempo e non solo per imparare a chiudere la distanza, ma perché effettivamente quando combattevo di kick con gente più grossa e forte e anche meno preparata di me ci andavo a rimettere. Il succo è per me creare l'automatismo giusto. Integrare più arti non può essere esso stesso un limite se non addirittura nocivo?! 

Grazie mille anticipate e scusa se mi sono dilungato.
Mirko"


Caro Mirko,
ti ringrazio per la passione e attenzione con cui segui questo blog. Andrò a risponderti al meglio che posso.

Iniziamo col dire che io MAI ho asserito essere necessario integrare il Jiu Jitsu stile brasiliano con una disciplina di striking, pena la sua inefficacia!

Hai capito bene? Spero di essere stato chiaro su questo.

Rileggi: ho scritto qualche dozzina di articoli su come mai il BJJ funziona così bene, portando tonnellate di dati storici al riguardo, nella sua formulazione classica (nessun crosstraining). Questo punto è stato provato infinite volte, dai Gracie in giù, e spero che nel 2014 sia oramai fatto acclarato che il Jiu Jitsu è un'arte marziale nata&evolutasi per la difesa personale, e che è ultra-efficiente nel combattimento reale così com'è. Stop.

Evidenziare un limite non significa denigrare. Come ho ampiamente esplicato in passato, chi non ha limiti non ha confini, è informe e privo quindi di valore. Il limite ci evidenzia il traguardo, è la vetta del monte, e su una cima ci si può arrivare in una molteplicità di maniere, i sentieri possono essere diversi. Io poi credo profondamente nel BJJ, ho smesso di praticare attivamente Muay Thai e Boxe per esso, una ragione ci sarà bene, no? 

La strategia del BJJ in combattimento è 'proietta-passa-finalizza', e ti renderai conto che per proiettare si debba PRIMA chiudere la distanza, cosa che si rivela abbastanza ardua se il jitsuka non ha MAI preso un pugno in faccia, magari esita, e nel titubare si trasforma in un istante in un saccone per le manine da fabbro del proverbiale camionista di 120kg che lo mena. Ai tempi dei nostri nonni e dei vecchi Gracie non c'era ragazzino che non facesse a scoppi quasi regolarmente nei cortili e a scuola, ma oggidi' le cose son diverse e quel praticantato informale è assente. Credimi quando come professionista del settore ti dico che la maggior parte degli adulti alla prima labbrata si paralizza. Alla pari di molti professores di Jiu Jitsu ritengo cosa saggia e avveduta che una cintura bianca si abitui a ricevere un pugno in faccia, e che quindi si alleni nel condizionamento ai colpi: scherma-base e giù di entrate sul partner coi guantoni che mena duro.
In summa: per utilizzare il proprio Jiu Jitsu in situazioni reali è (quasi) indispensabile saper gestire un avversario che picchia, ma NON diventare un esperto di Boxe o Muay Thai.



Non accenno nemmeno all'aspetto di migliorare la lotta in piedi con un'integrazione di Lotta Olimpica stile libero, dando per scontato che ti sia lampante quanto ciò possa aiutarti nel chiudere la distanza, e in subordine anche di Judo (però senza assorbire a capocchia gli atteggiamenti sportivi di questi sistemi una volta al suolo).



Ho scritto parecchi articoli per esaminare COME una eventuale integrazione di arte percussiva vada applicata al lottatore di BJJ. Mettersi a fare robe a casaccio, amico Mirko, va a detrimento del praticante ed è per questo che ci vuole un coach navigato al fianco. Resta il fatto che innumerevoli esperti di arte suave sono passati alle MMA con massimo profitto, e il loro livello tecnico non ne ha risentito, sempre che abbiano mantenuto un meticoloso allenamento specifico (anche col gi).

"Il succo è per me creare l'automatismo giusto." Sante parole le tue, Mirko, non potrei essere più d'accordo! Siccome nella rissa vera la gente picchia, l'automatismo giusto -un'entrata molto aggressiva ma anche una guardia efficace e una fuga sotto i colpi- richiede necessariamente di non chiudere gli occhi e /o restare inani subendo l'iniziativa a valanga dell'altro. Ergo ci si deve allenare allo scopo, e quindi si richiede di avere una forma di condizionamento ai colpi. Aggiungi che non ci si difende da ciò che non si conosce minimamente e avrai la tua risposta: un vero jitsuka, uno specialista, DEVE essersi condizionato ai colpi. Non solo si può ma si DEVE farlo, posto che si sappia COME fare ciò.

http://www.realfighting.com/content.php?id=114

In un'accademia come la mia, la Fight Club di Firenze, offriamo corsi di BJJ adatti a tutti i palati. C'è chi vuole allenarsi, sudare un bel po' ma considera solo molto remota la possibilità di picchiarsi per strada, e credimi sono la maggioranza dei praticanti. Per chi invece sia più serio nell'approfondire la 'difesa personale' nel mio club offriamo corsi di arti percussive, impartiti da professionisti e frequentati da atleti agonisti. Ti sarà chiaro, amico lettore, che far mettere i guantoni a un jitsuka incapace di piazzare un destro oppure sviluppare occhio-riflessi su un abile striker NON sia la stessa cosa, è meglio che nulla ma non è il meglio!

In summa: se non si ha altro a disposizione, il condizionamento ai colpi lo si fa coi compagni di Jiu Jitsu, ma questa, più spesso che non, è una soluzione approssimativa rispetto a una tutela specifica di un coach esperto e con compagni valevoli.

Mirko, occhio che integrare NON vuol dire fare un minestrone scipito come va di moda oggi. PRIMA devi avere una solida base nella nostra arte suave, POI si potrà aggiungere quel che al piatto forte manca, altrimenti non si chiamerebbe integrazione bensì commistione, ibridazione forzata o similari.



Il condizionamento ai colpi in piedi e anche al suolo (cosiddetto ground 'n' pound) è parte integrante dell'addestramento di un jitsuka, una porzione importante dell'addestramento che chi -per scelta personale sua o per negligenza del suo istruttore trascuri- rende molto manchevole l'eventuale applicazione reale. Rimarco che è provato da migliaia di vale tudo e comuni risse che NON è necessario o auspicabile diventare un pugile agonista per applicare il Jiu Jitsu, anzi. Investire una gran parte del tempo disponibile per allenarsi un po' a casaccio nelle arti di striking, senza una guida e una bussola, può certamente rallentare i miglioramenti nel BJJ, mi par ovvio. 

Vuoi praticare solo BJJ, ti trovi bene in questo modo? Vai così, Mirko

Potresti migliorare l'efficacia stradaiola del tuo Jiu Jitsu tramite allenamenti integrativi mirati, eseguiti con metodo sotto una supervisione di un coach esperto? Senza dubbio sì. Non è obbligatorio, non è indispensabile, ma la risposta è sì.



domenica, novembre 09, 2014

CHI INSEGNA COSA?


Cari lettori, vicini e lontani, come ben sapete ho iniziato a tenere un blog tanti anni fa al solo scopo di sfogarmi. Mi piace scrivere, se metto nero su bianco le cose che mi tengo in gozzo poi sto meglio e mi sfogo nel dire la mia. Parecchie volte ho ripetuto che questo è il solo motivo valido di tenere un blog NON commerciale come questo: non vendo nulla e non desidero convincere alcuno, se ti va leggi e sennò ciao.

Un motivo particolarmente godereccio dell' avere un proprio spazio scrittorio è quello di stangare certi pregiudizi circolanti tra gli inesperti ma non solo. Gira voce che hanno il diritto d'insegnare una certa arte da combattimento i presenti e passati campioni sportivi, mentre gli insegnanti privi di un palmares importante sono soltanto dei cialtroni, non hanno vinto abbastanza gare nella gabbia (o sul tatami) e difettano perciò della forza mascula per stare sulla materassina a fare lezione..

La prima considerazione da fare è: parlare è facile, ma tirare su un corso e avvicinare con profitto tanti alla pratica invece non lo è affatto. Se discorsi del genere arrivano da tecnici, mi spingo a dire che criticare in via indiretta i competitori dileggiandoli è la forma primaria con cui si manifestano gli haters, gli ormai noti "odiatori", avversari preconcetti che tanto infestano facebook & compagnia. Trattasi in genere di ragazzini bimbominkia nascosti dietro un nickname o simili, e quando invece adulti, di individui invidiosi che palesano così facendo la propria inferiore statura umana e professionale. In questo secondo caso appare chiaro l'intento commerciale di piccolo cabotaggio, cioè diffamare un professionista non per il suo lavoro qual'è ma spostando l'attacco sul personale. Vecchia tattica che non raggiunge il risultato per un pubblico smaliziato, che però può purtroppo dare qualche miserabile frutto se intesa a raggiungere i neofiti assoluti, gli sprovveduti. Il fornaio di qualità è premiato dai propri clienti per i suoi prodotti, e spettegolare che ha la moglie battona serve al concorrente maligno per strappare due lirette di mercato. Il fornaio di successo se ne frega del rivale, va per la sua strada e non diffonde proclami sul passato del collega, chi lo fa è perché si sente inferiore.

Chi può insegnare? Chi lo SA FARE! Noi come lo valutiamo un maestro, solo dal fatto che lui è stato un forte agonista, che ha all'attivo tante medaglie? 

Uhmmmmm...
Ne siamo davvero sicuri? 

Che abbia gareggiato e vinto è certamente un dato utile, ma sarebbe come andare dal forno di cui sopra, mangiare una pizzetta da schifo epperò doverci ritornare  -dicono i benpensanti- solo perché l'esercente ha vinto il campionato condominiale di focaccia ben 3 volte 12 anni fa!

L'avvocato bravo NON è quello che ha sette lauree appese in ufficio ma soltanto quello che fa sua la causa, monsieur De Lapalisse, e così nelle arti marziali il MAESTRO bravo è quello che ha la stima e l'approvazione dei suoi atleti, che ne gradiscono l'operato e da lui si sentono guidati e resi migliori come esseri umani all'interno del contesto in oggetto di ragionamento. Non ha bisogno della 'patente' dell'espertone-rosicone e va per la sua strada, magari dimostrandosi un buon coach, vincendo medaglie con i suoi atleti se la loro arte prevede le competizioni.

Mi spiace aggiungere che curriculum vitae assai rimaneggiati ed edulcorati, e tutta una quantità di schifezzuole compiute che il profano non deve addivenir a conoscere capita che siano nascosti dai moralisti.  I campioni VERI non ostentano, per loro conto parlano da soli i risultati sportivi veri.
Nota: è mia convinzione che, restando nell'ambito del Jiu Jitsu stile brasiliano, ad oggi solo 3 persone in Italia siano in grado di vantare titoli pesanti, internazionali, negli adult cinture marroni e nere. Gli agonisti bravi sono tanti ma i vincenti reali del nostro paese -conosciuti e applauditi nel mondo- sono solo quei tre.

Questo blog ha speso migliaia di parole per insistere che un bravo insegnante dev'essere onesto e competente. Chi vorrebbe mai l'opposto?


onestà

[o-ne-stà] s.f. inv.
  • 1 Qualità morale di chi rispetta gli altri e agisce lealmente verso il prossimo SINrettitudineo. di vita
  • 2 Correttezza, accettabilità: lavoro fatto con o.o. del prezzo
  • 3 ant. Decoro, dignità

competenza

[com-pe-tèn-za] s.f.
  • 1 Sapere ed esperienza specifici SIN periziauno studioso di grande c.


Ci siamo? Aver vinto alcune medagliucce ci dice semplicemente che costui che lo fece è stato un bravo atleta, NON indica che sappia:

1) trasmettere il suo sapere
2) avere il rispetto dei suoi assistiti
3) mostrare una grande esperienza nell'allenare altri

Se vogliamo è un ovvietà, una banalità a ragionarci sopra, epperò spesso la materia è oggetto di confusione. Chi il rispetto non sempre lo ha, chi di malefatte ai danni della 'clientela' all'attivo ne ha di ben note, ebbene su questo "piccolo dettaglio" glisserà certamente e si metterà a gettare concime su chi invece di certe pecche non le mostra e lavora seriamente. Ripeto: la più importante caratteristica per uno che insegni è certissimamente un carattere serio, maturo e un'etica solida, visto che ha a che fare con bimbi e giovanetti.

Ricordo di quando un mio collega professore di arte suave mi descrisse la visita presso la sua accademia di un insegnante straniero, molto noto e con un passato di frequentatore di podi internazionali. Questo personaggio ha pensato bene di fare lo sborone, come si dice, e lottare con molta forza persino con le cinture bianchissime del suo ospite, facendo male a qualcuno e lasciando un pessimo ricordo di sé. Qualità morale, sapere specifico? Zero. Vincere (in gara) non basta, per convincere, ci vuole altro, molto altro

Approfondiamo l'argomento. Abbiamo riesaminato la (scontata) verità che vincere gare di un determinato sport nulla dimostra di saper insegnare la disciplina in oggetto. E' un merito e un dato importante di sicuro, ma la storia dimostra che molto spesso grandi atleti poi non si rivelano ottimi mentori, e vice versa. Vogliamo fare qualche esempio?

Greg Jackson è il più famoso e più vincente coach di MMA del mondo. Presso la sua accademia di Albuquerque, New Mexico, pascolano i più pagati fighters dell'UFC e dintorni. Questo tecnico è considerato un genio e lo pagano a peso d'oro gli uomini più duri che esistano. Ebbene Greg ha all'attivo zero competizioni, nemmeno il torneino di briscola del gerontocomio di zona ha mai fatto!

Vogliamo parlare di Boxe? Lo sport da combattimento dei 5 continenti, concepibile solo per tough men?

Il più vincente e osannato allenatore di tutti i tempi nel Pugilato è stato forse Angelo Dundee, italoamericano dal vero cognome di Merenda, trainer di Cassius Clay, Ray 'Sugar' Leonard e George Foreman. Signori miei, Angelo non ha mai fatto mezzo match di Boxe, è partito direttamente dallo stare all'angolo!

L'uomo che rese leggenda 'Iron' Mike Tyson e Rocky Graziano tra gli altri, fu un'altro paisà, ossia Costantine "Cus" D'Amato del quale non sono ricordati successi agonistici a nessun livello.

E nel Brazilian Jiu Jitsu?

L'allenatore più pagato d'America e forse del mondo è l'head coach di BJJ della ultrarinomata Renzo Gracie Academy di New York City, John Danaher. Una fosse di leoni piena zeppa di cinture nere e campioni pazzeschi. Il neozelandese, sofferente di un handicap a un arto inferiore, alla pari di Greg Jackson NON ha mai fatto un torneo di BJJ, nulla di nulla. Eppure c'è gente che combatte di professione e che prende voli dall'altra parte del mondo pur di allenarsi con lui, talmente impegnato da fare le mezz'ore di lezione privata (a costi stellari tra l'altro).

Una cosa moderna, una deriva recentissima delle arti marziali? A quanto pare no, visto che il singolo insegnante più incisivo della storia -in termini di milioni di persone a decine che nel tempo hanno praticato la sua scuola/arte- è certamente Jigoro Kano, inventore del Judo Kodokan e che non solo non ha mai gareggiato in vita sua ma che non è attestato abbia MAI nemmeno fatto del randori (sparring) coi sui allievi.

Chi può insegnare? Chi lo sa fare. Parlano i fatti. Con buona pace dei rosiconi malignanti. Precisiamo: di Kano e Dundee ne nasce uno al secolo, non voglio certo dimostrare la prova al contrario, è certamente un bene che chi insegna s'intenda precisamente di cosa sta discettando. E' solo che aver vinto sul quadrato non dimostra l'assunto precedente, sono due universi separati. E' bravo a insegnare chi è competente e onesto, e come la storia c'insegna il bravo coach spessissimo non è mai stato un grande campione, come sanno i pugili che nelle decadi si sono rivolti alle squisite cure del maestro Boncinelli, decano della Boxe fiorentina. Questo ricercato professionista al tempo in cui fece i suoi 3 o 4 match da dilettante fu ribattezzato con gigliata cattiveria "Solette" in quanto si beccava sempre un ko, andando a piedi all'aria. Simile destino ha vissuto il più famoso maestro di arti marziali che ci sia oggi in Italia, il judoka Giovanni Maddaloni. Vero eroe nazionale partenopeo, celebrato anche nei film per aver risollevato il morale e l'immagine di Napoli intera e del disastrato quartiere di Scampia, ha prodotto schiere di campioni internazionali su su fino all'oro olimpico di suo figlio Pino; ebbene O' Maestro smise di gareggiare da ragazzo dopo i regionali.

Oggi come domani saranno legioni di pischelli a sognare di allenarsi con Jon Jones, ma poi di farsi allenare da Greg Jackson, e non il contrario.

Io come modesto professor cintura nera di Jiu Jitsu ardisco ispirarmi a modelli di specchiata etica umana e professionale nel mio campo, l'insegnamento professionistico di arti marziali e discipline collegate, ed a questo scopo studio ogni santo giorno, cercando inoltre di partecipare a quanti più seminari/workshop di alto livello possibile. Sono per-fet-ta-men-te a conoscenza dei MIEI limiti (tipo un davvero striminzito passato da competitore, avendo io iniziato la pratica a 33 anni e con la gamba seminferma) e uso della scienza di amici e colleghi per superarli. In particolare faccio in maniera che i miei allievi siano esposti a una serie di figure qualificate nel BJJ, maestri internazionali con esperienza di svariate decadi quale il nostro DT, Octavio 'Ratinho' Couto,e atleti di prim'ordine che portino in dote ai centuriati la loro energia ed esperienza agonistica come Luca Anacoreta e Ivan Tomasetti. Il nostro team Centurion prova regolarmente sul campo il lavoro svolto tramite la partecipazione alle migliori competizioni, e anche sparring tematici con atleti di altre discipline.


Il Jiu Jitsu, lo vorrei ricordare ancora una volta, è un a-r-t-e marziale che ha un bellissimo/importantissimo aspetto (minoritario) agonistico, NON uno sport tout court, mica è la pallavolo. Un'enfasi esagerata e monolatrica sui risultati sportivi è la prima causa di decadenza di questa bellissima disciplina. Gareggiare è fondamentale ma nel BJJ NON è tutto, per niente proprio. La pensano così diversi esponenti tra i più rinomati maestri del mondo. Si ritorna lì: se un tecnico è valido lo decidono i suoi allievi e non i soloni di turno. Piaccia o non piaccia è così e basta. 

Nel video seguente il celebrato professor Sauer spiega quanto sia diminuito il valore combattivo del Jiu Jitsu per via della sportivizzazione forzata.




Inoltre vorrei aggiungere che per quanto indubitabilmente a un docente di BJJ sia richiesto un serio, concreto lavoro sulla materassina, lottando con gli allievi, è altrettanto indiscutibile che le leggi della natura valgono per tutti, docenti di arte marziale come gli altri. Il sapere che deriva da una vita spesa ad approfondire una disciplina bella e varia come il Jiu Jitsu, ad esempio, va di pari passo con il tempo che scorre, con gli anni che passano. Trovo ridicolo e infantile rifiutarsi di riconoscere i propri limiti, come ad esempio l'età divenuta ahimé matura, e voler ignorare che un indiavolato agonista ventenne può mettere in seria difficoltà uno stimato insegnante cinquantenne. Si dovrebbe arrivare a quell'età a non dover sentire più il bisogno (giovanile) di 'sconfiggere' sempre qualunque partner in allenamento, e accettare invece serenamente che c'è la possibilità, prima o poi, che gli allievi GRAZIE AL CIELO ci superino in bravura e vigore fisico. Un uomo adulto almeno dovrebbe, dico.

Nel prossimo video i fratellini spiegano l'importanza capitale della statura umana e culturale di un insegnante, e di come vada affrontata la pratica dell'arte per continuarne a godere in età non più giovanile.




Chi insegna cosa?

Cosa significa insegnare?

Il termine "insegnare" deriva dal latino insignare composto dal prefisso "in" unito 
al verbo "signare", con il significato di segnare, imprimere e che a sua volta riconduce 
al sostantivo "signum", che significa marchio, sigillo.
L'attività dell'insegnante, quindi, lungi dal limitarsi alla trasmissione del sapere fine 
a se stesso, consiste nel "segnare" la mente del discente, lasciando impresso un metodo 
di approccio alla realtà, che va ben oltre lo studio.

E' chiaro? 

Chi t'insegna ti segna, a vita. Chi è materialista, duplice, esaltato e arrogante, violento e prepotente, segna in tal senso gli allievi, così come l'egoista affamato solo di pezzetti di metallo. Ecco perché onestà e competenza non si possono apprendere in campionato, ecco perché il delicatissimo compito di fare il docente di arti marziali DOVREBBE essere affidato solo ed esclusivamente a persone di comprovata moralità, cultura e maturità. In caso contrario gli esiti saranno spesso pessimi, addirittura devastanti alle volte. E' un'utopia e ne sono perfettamente consapevole, noi umani siamo fallaci e il mercato delle arti marziali non sfugge alle stesse truci regole dell'esistenza: arrivismo, superficialità, opportunismo. E' per questo che non esiste né potrà mai esistere un criterio pratico univoco per stabilire a priori chi può insegnare, il giudizio è affidato esclusivamente al gradimento dei clienti/allievi. Ciò è un po' triste, lo so, ma le cose vanno così.

Se tu che leggi sei un giovane in cerca di un maestro, io ti auguro tanta tanta fortuna, che la statistica è contro di te. Se invece sei un insegnante di un'arte marziale o comunque di qualche disciplina formativa, spero che questo mio scritto ti possa far riflettere 5 minuti. 



lunedì, ottobre 06, 2014

IL PRIVILEGIO DI NON SENTIRSI SUPER EROI


Tanti anni addietro, intorno al 1995, scoprii le arti da combattimento reale per caso. Come marzialista ero perfettamente a conoscenza delle arti realistiche, votate al contatto pieno, ma mal istradato com'ero non ne capivo la natura. Fu solo scontrandomi (nel vero senso della parola) con chi si allenava per menare e non per fare forme che mi risvegliai, destandomi definitivamente con il Jiu Jitsu stile brasiliano.

Questo processo di emancipazione e crescita personale iniziò col botto e prosegui con alti e bassi ma sempre nella medesima direzione. Adesso che ho messo tra me e le arti marziali fossili quasi un ventennio, posso persino riaccostarmi ad alcuni temi che quest'ultime portano avanti con profitto, e trarne vantaggio. Sono abbastanza lontano dal quadro per vederne bene l'insieme, diciamo.

La caratteristica che meno mi manca e che è più indigesta degli ambienti fossili è la subcultura dominante: la figura tirannica del guru che sa tutto lui, e l'ossessione maniacale per i continui paragoni, le storie inventate di combattimenti etc. Sembra sempre più chiaro a me che queste discipline facciano molto male alla psiche di chi le pratica, chi segue il blog lo sa bene.

Un aspetto su cui ho riflettuto anche recentemente, è quanto NON confrontarsi mai incida sulla deriva mentale degli appartenenti a questi culti pseudomarziali. Sono tutti i giorni a tu per tu con sportivi agonisti, tra i quali anche professionisti molto preparati, e in questa categoria  mancano del tutto quelli che si potrebbero chiamare i "wannabe superhero". Sono dei duri gli atleti, ma sanno benissimo quanto menarsi sia doloroso e per questo non ostentano risse, vittorie "da strada" e si concentrano con estrema cura nell'evitare chi eventualmente sia armato.

Poi incontro gli "wannabe", gente col fisico da collaudatore di sedie a dondolo, e sono tutti pronti ad affrontare moltitudini magari armate, con spranghe e coltelli, asce e mannaie. Lo scollamento dalla realtà è macroscopico, partono del tutto per la tangente. Persone timide e dotate di occhiali spessi come i cristalli dell'Acquario di Genova, e di professione impiegati comunali o simili, s'infervorano e cominciano a cianciare di difesa da terrorista suicida o amenità consimilari. Sentono il bisogno di credere di poter mettere giù Cassius Clay con il calcetto furbo negli zebedei e di spianare Helio Gracie mercé il dito nell'occhio da sotto la montada, o magari proiettare Karelin grazie all'energia mistica!

Ricapitolando: chi combatte impara presto il suo posto nel branco e si tranquillizza, asseconda il bisogno di socialità gerarchicamente strutturata del mammifero e assume i connotati dell'adulto vero e proprio, la maturità. Chi del combattimento inespresso (represso) ha invece fatto un business o una dipendenza, sviluppa pericolose tendenze infantiloidi e narcisistiche ma anche -alle volte- sadomasochistiche. Di conseguenza m'arrischio a ipotizzare che tutte le forme cultistiche di plagio si attaglino a chi non sia davvero un uomo fatto, a una persona matura e capace di valutare la realtà, indi ragion per cui si evince che alle caste dominanti si rende necessario  proibire, stravolgere e danneggiare qualunque forma di educazione umana che vada in tal senso evolutivo della psiche.

Perdere (in accademia e in gara) è educativo, il confronto con chi è più forte è educativo. Anzi, è necessario per lo sviluppo completo della mente umana. Chi non sa perdere da un altro uomo nello scontro fisico non potrà mai superare fino in fondo la fase infantile, è nel nostro DNA. Tutti i mammiferi apprendono a diventare adulti tramite il gioco-lotta e poi gli scontri, rituali prima e per la sopravvivenza poi. Siamo fatti così anche noi, e chi lo sa se ne approfitta per dominare chi lo ignori.

E' così difficile ad esempio capire come mai nel nostro disgraziato paese sia stata fatta una religione osannata del gioco del pallone, mentre si ostacolano con tutti i mezzi le discipline del combattimento reale? Per me no. 



domenica, luglio 20, 2014

VACANZE DA JITSUKA


Cari amici vicini e lontani, come il cocomero ghiacciato e le infradito, arriva puntuale il post pre-vacanziero sul blogghino vostro.

Se non fate parte di quella privilegiata élité che si spara settimane invernali a Rio oppure deliziosi periodi all-inclusive nelle accademie thailandesi di MMA, e cioè siete comuni mortali alla ricerca dell'unica vera vacanza dell'anno, il problema si pone: allenarsi o meno durante il meritato riposo dal lavoro?

Lo sapete che la mia risposta è: "SI', senza ombra di dubbio", ma allenarsi come? 

Vi invito a godervi i pochi o tanti giorni di leisure e quindi alleniamoci un pochino, quel tanto per mantenere la muscolatura efficiente e prevenire infortuni dolorosi al rientro in palestra.

Al risveglio mobilità articolare e un tabàta secco, poi 5 minuti di stretching. Stop. Si tratta semplicemente di scegliere un esercizio - ad esempio squat a corpo libero- ed eseguirlo 8 volte a bomba per 20 secondi, riposandone 10 tra le serie. E' un allenamento brevissimo ma molto funzionale, e non si fa a tempo ad annoiarsi nella camera d'albergo.

Vale sempre il consiglio di muoversi all'aria aperta quanto più possibile e di non sfondarsi di schifezze alimentari, specie il delirio alcolico...

Buone vacanze, se le fate. Altrimenti vi aspetto in accademia!


mercoledì, maggio 28, 2014

ANTICHI DETTI DEL JIU JITSU


In una faticosa spedizione alle pendici dell'Himalaya, dentro le rovine di un tempio millenario, è stata recuperata una vetusta pergamena. Ho capito essere un antico manuale di Jiu Jitsu, e dopo una lunga opera di traduzione posso riportare qui alcune fulminanti informazioni tramandate dall'autore, il venerabile sensei Pou Cho Ni.

"Braccio steso braccio preso"

"Voglio stare sotto solamente quando fotto"

"Il Jiu Jitsu è vicinanza. Lontananza significa inculanza"

"All'omone grossone gli stucco il braccione"

"Dacci oggi il nostro strangolamento quotidiano"

"Mi afferra la testa gli faccio la festa"

"Tra il dire e il fare c'è di mezzo il lottare"

"Il Jiu Jitsu è amore. Ama il tuo avversario..prendigli la schiena"

"Se da sotto la monta egli spinge, significa che lottare lui non sa. Tu tritagli un gomito, è per il bene del suo karma"

"Un vero jitsuka è pacifico, ama la pace del suo prossimo. Eterna"

"In una scuola di Jiu Jitsu la democrazia, il valore delle opinioni dei singoli è portato all'estremo e cioè alla Monarchia: uno comanda e gli altri eseguono"

"Se te vai a menà, porta du' sacchi: uno uno pe' dalle e uno pe' pijialle"

"Perché ci alleniamo col gi? Aggrovigliarci con omacci nudi, sudati e pelosi, è contro il nostro elevato senso estetico"

"Contro più avversari uso il Beretta-Do"

"Ogni discussione filosofica, ogni diatriba religiosa o sociologica può essere risolta tramite la formula PROIETTA-PASSA-FINALIZZA"





mercoledì, marzo 26, 2014

LA DIDATTICA IN 5 FASI DEL JIU JITSU




La didattica in 5 fasi del Jiu Jitsu: ecco perché quest'arte funziona

Da molti anni analizzo in lungo&largo il Jiu Jitsu stile brasiliano, e l'ho usato come metro di paragone del fenomeno marziale in generale. Ho ricostruito la storia della diffusione dell'arte suave e spiegato nei dettagli le sue caratteristiche positive uniche ma anche le sue storture e limiti.

Chi segue il blog sa ormai a memoria perché:

- in palestra non si può imparare la 'difesa personale'  bensì a combattere

- nessuna arte o stile ha valore per imparare a combattere senza il confronto reale (sparring e gare)

- l'importanza cruciale della preparazione fisica specializzata: inutile saper fare senza riuscire a farlo

Come si fa normalmente nella ricerca, anche io periodicamente rielaboro le mie posizioni ideologiche cercando di migliorarle e, se serve, abbandonarle completamente per una nuova formulazione. Non è infatti mia intenzione tenere questo blog al fine di dimostrare che io ho sempre ragione anche quando ho torto, cioè la tipica forma di manipolazione mentale degli aspiranti guru di ogni sorta. Non vendo nulla, scrivo solo per amore della verità e son pronto a smentirmi con piacere.

il Jiu Jitsu è efficacissimo, non devo sostenerlo io, è un fatto conosciuto e acclarato. Anche le altre modalità che compongono il bouquet delle MMA lo sono, ne sono consapevole io e ne siete edotti anche voi.  Perché quest' arte funziona? 
Qual'è la costante? Sono soltanto le tecniche solide?
No. Combattere non è una questione di movimenti. Tecniche tra loro simili poi producono risultati molto differenti. Certo, senza nessuna tecnica per quanto rozza è impossibile combattere bene, epperò il bandolo sta altrove.

Cosa rende le modalità funzionali per combattere e quindi integrabili tra di loro? Non è la specializzazione sic et simpliciter, altrimenti si potrebbero mischiare Krav Maga Aikido e Pilates, tanto per smazzare a casaccio.

Sono qui a rielaborare la mia teoria di fondo, signori. Sostengo che sono funzionali e misturabili soltanto delle arti che abbiano il medesimo processo didattico. Il Jiu Jitsu e le altre modalità, le cd. 4 arti magiche, sono perfettamente integrabili tra di loro non tanto per la specializzazione di ognuna -che a qualcuno magari le MMA potrebbero benissimo non interessare- quanto perché, essendo nate con finalità similari, condividono lo stesso DNA didattico, la forma mentis è quella insomma.
Corollario: nessuna arte o stile che non possieda questo modo di imparare a combattere può funzionare al di là della pura buona fortuna del momento, essendo gravemente manchevole  e amputata nella struttura dell'apprendimento.

Qual'è questa scaletta che contraddistingue il Jiu Jitsu? Cosa lo rende così efficace in maniera sistematica? Nella nostra arte (e consimili) esiste un processo in 5 fasi di installazione delle abilità marziali che porta un profano a sapersi difendere con successo.

1) IMPARARE. Si ascolta e si osserva il docente.
2) RIPETERE. A coppie si ripassa quanto impartito dal coach, senza resistenza di sorta da parte del compagno, e per il tempo necessario affinché si crei memoria muscolare.
3) PROVARE. E' sempre un esercizio a coppie, il randori. Si lotta ma rilassati e concentrati sulla tecnica da assimilare: NON si combatte con il nostro partner d'allenamento. La più malintesa delle tappe.
4) TESTARE. Dal progetto allo stress trial; si va in campionato a vedere come si reagisce sotto pressione, cosa in effetti sappiamo fare e quali modifiche apportare alla nostra preparazione. E' quanto di più emozionante e quindi probante si possa ottenere in ambito controllato.
5) VERIFICARE. Sperando che non ci serva mai nella vita, è il momento della vera rissa o confronto stradaiolo. Solo questo è vero combattimento.

Appare lampante agli occhi di tutti che nessun metodo il quale si fermi alle prime 2 tappe possa risultare utile, e che altrettanto inutile è volare al quinto step senza essere passati per le necessarie fermate precedenti. Certo, è indispensabile che a priori le tecniche impartite abbiano un senso dal punto di vista dell'anatomia, della fisiologia e delle leggi della Fisica, altrimenti anche la Pallacanestro rientrerebbe nei primi 4 punti hahahaha! 

Scherzi a parte, anche un simil-BJJ ma fatto (insegnato) male e cioè senza la precisa applicazione del processo didattico in 5 fasi diventa pletorico e forse inefficace ai fini del combattere. Una semplice e razionale, spassionata analisi ci porta a ritenere questa tipologia didattica pentalobata il vero segreto del successo del Jiu Jitsu nei fatti, oltre le geniali interpretazioni teoriche dello scontro disarmato come Teoria delle Fasi, Gerarchia di Posizionamento etc etc, le quali senza un metodo altamente valido per installarle nel praticante  resterebbero poi lettera muta.
5 sono le fasi, così come tra l'altro cinque sono anche le aree tecniche del Jiu Jitsu, si ricorda facile: 
IMPARARE, RIPETERE, PROVARE, TESTARE, VERIFICARE. E vai col liscio.

mercoledì, febbraio 26, 2014

IL CONTATTO FISICO E LA CRESCITA PSICOLOGICA


Come sapete sono passato al Jiu Jitsu in età ahimé matura, avendo scoperto quest'arte marziale che ero già quasi un Senior 1 per gli standard IBJJF. In precedenza avevo però praticato per qualche decade arti di striking.

E' un fatto abbastanza noto a chi frequenti accademie di BJJ osservare un tenore 'atmosferico', un aria del tutto differente dai corsi di arti percussive. In generale questo diverso feeling è -giustamente- attribuito alla mancanza di sollecitazione del sistema nervoso che picchiarsi dà, volenti o nolenti. Là dove ci si mena si sta più sul chi vive, è normale. A bene vedere però è una deduzione che si può validare solo in parte. Basta infatti studiare quello che avviene in arti fossili dove il contatto non è nemmeno sfiorato o addirittura sconosciuto per ritrovare paro paro quel non so che di antipatico che aleggia nella Boxe o nella Muay Thai, due arti per il resto eccellenti e meritorie.

Dunque, cosa c'è di più profondo nel Jiu Jitsu che crea quel cameratismo e quel senso di easy going tale da farsi notare così vistosamente? Ci sono arrivato per gradi, a capirlo. E' soprattutto il contatto fisico profondo e prolungato. Ebbene sì, siamo sempre abbracciati nel BJJ, il 90-95% del tempo si è costretti a subire l'ininterrotta vicinanza di un'altro essere umano, con tutto ciò che questo comporta.

Riflettiamo. Crescere vuol dire necessariamente un allontanare gli altri, creare quelle barriere che la società prevede affinché si diventi persone e individui, cioè singoli. A partire da quando siamo ragazzetti smettiamo di avere un contatto epidermico col prossimo, e se escludiamo un partner alla volta il resto del mondo è al massimo della vicinanza dietro una stretta di mano. E' necessario far così, lo capisco, ma è anche una forma di schizofrenia.

Ciò è male. 
Il nostro trasformarsi nel senso disumano di unità produttive del turbocapitalismo straccione ci duole, ci aliena dalla nostra parte sensibile. Ecco che un'arte solare e benefica arriva a darci quella dose di corpo-a-corpo di cui siamo necessitanti a livello subconscio, che ci fa star bene e ci fa sentire meno soli e più vivi. In particolare per i bambini il Jiu Jitsu dovrebbe essere obbligatorio per legge e insegnato con cura in tutti i gradi scolastici, io dico.

Quando si parla di "Jiu Jitsu life style", al di là del marketing c'è di più. Le persone che seguono questo percorso si rilassano, alleviano tantissimo lo stress e smuovono dei blocchi nel loro profondo nella maniera che altre attività seppur eccezionali non possono fare.
Essere qualcuno nel Jiu Jitsu significa aver trascorso migliaia di ore con un numero imprecisato di omacci a cavalcioni di traverso, e questo è irriproducibile con arti da combattimento diversamente strategiche, anche di lotta ma in piedi, notiamolo.

Ho la certezza che se sradicassimo i teen ager dai malefici strumenti digitali che li tarpano mentalmente e li riuscissimo a far stare sulla materassina ad aggrovigliarsi coi loro pari, a sudare e imparare, a sudare e divertirsi in maniera umana, avremmo una società decine di volte migliore. Sarò un fanatico ma so di cosa parlo: il Jiu Jitsu non solo insegna a combattere a chiunque, è VITA; portate i bambini in una buona accademia e iscrivetevi anche voi, se non l'avete ancora fatto, seppur aveste 80 anni, il risultato è matematico.



mercoledì, gennaio 29, 2014

LUCA ANACORETA, IL GIOVANE FENOMENO ITALIANO DEL BJJ



Conosco da molti anni questo atleta, sicuramente il più vincente nel nostro paese e unico noto a livello planetario  tra i connazionali, seguo con profonda stima la sua carriera, e sono felice di poter offrire ai nostri appassionati lettori una sua intervista 'fuori dai denti'.
Luca sarà ospite del Team Centurion e darà un seminario a Firenze domenica 16 marzo 2014.

-Ciao Luca, ti presenteresti ai lettori del blog?
Ciao a tutti, mi chiamo Luca Anacoreta ho 24 anni, sono nato e vivo a Roma .Sono una cintura nera di BJJ e sono uno dei fondatori dell'Aeterna Jiu Jitsu.

-Da quanto pratichi BJJ e chi è il tuo referente tecnico?

Pratico BJJ da aprile 2006 ed ho iniziato ad allenarmi sotto la guida di Rogerio Olegario, ma da 4 anni a questa parte diciamo che sono autodidatta, vedo raramente il mio maestro e mi ci alleno pochissimo. Per l'aggiornamento tecnico noi dell'Aeterna ci aiutiamo soprattutto ospitando stage di grandi campioni come "Tereré" e Frazatto, che vengono periodicamente; quest'ultimo ad esempio verrà anche a fine marzo. 

-Quali sono i tuoi principali titoli agonistici?

I miei risultati principali sono:

2x Medal World Jiu Jitsu IBJJF 
2x European Jiu Jitsu Champion IBJJF
2x Medal European Jiu JItsu IBJJF
1x European NO-Gi Champion IBJJF Absolute
2x Medal European NO-Gi IBJJF 
1x Rome International Champion IBJJF Category and Absolute
1x London Open IBJJF Champion
2x Italian Open UIJJ Absolute
2x World Champion FILA Grappling NO-GI 2x European Champion FILA Grappling GI 3x Italian Champion FIGMMA Grappling NO-GI
3x Trials World Pro Jiu Jitsu Championship UAEJJ
-Cosa ti ha fatto scattare la molla e iniziare a  praticare Jiu Jitsu?
Mio fratello Fabio è la persona che mi ha trascinato in palestra, ma ciò che mi ha fatto innamorare del BJJ è stato senza dubbio vedere gli HL di Jacaré e di Tereré.

-Qual'è la tua idea di quest'arte marziale? Come la intendi tu?
Il Jiu Jitsu è una disciplina che aiuta moltissimo a socializzare, formare il carattere e a staccare la spina dallo stress e dalla vita quotidiana. Per me fortunatamente è allo stesso tempo lavoro, amicizia e famiglia.

-Quante ore ti alleni a settimana e quanto lotti?
Sinceramente ormai non le conto più, comunque sotto gara mi alleno 12 volte alla settimana, circa 4h al giorno, e lotto a tutte le lezioni. 

-Pratichi anche altri stili di lotta?
Praticare è un parolone, spesso mi piace lottare di Judo in palestra con i miei compagni e allievi e quando riesco a incontrarmi con il mio amico e maestro di Judo, Ivan Tomasetti (NdM: attuale campione europeo Assoluto nelle cinture marroni) mi faccio aggiustare la tecnica, mentre per la lotta senza il Gi il mio maestro è Riccardo Mezzetti che periodicamente viene in palestra ad insegnare. 

-Come giudichi il livello del BJJ in Italia?
Sinceramente? Non amo la mentalità italiana, il modo di intendere il BJJ, perché qui la maggior parte delle persone pensa solamente alla cintura, a pubblicizzarsi con blog e social network invece  di fare la gavetta;  vogliono atteggiarsi a divi già nelle cinture più basse e si sentono "Buchecha" o Rafael Mendes. 

-Chi è il tuo campione cult nel BJJ?
Fernando Augusto "Tereré" 

-Qual'è la tua idea di preparazione fisica relativamente al BJJ?
Tanta lotta e un po' di corsa, con un aggiuntina di pesi. 

-Il tuo pensiero sulle MMA?
 A me piacciono molto le MMA, ma purtroppo in Italia i fighter rischiano troppo per due soldi e si fanno sfruttare dalle varie organizzazioni. Nel corso degli anni le MMA si sono evolute tantissimo e non basta essere un buon pugile o wrestler, ma bisogna prepararsi in più discipline e quindi investire più tempo, impegno e soldi su se stessi e allo stesso tempo pretendere di più dai promoter. 

-Hai mai pensato di dedicarti a combattere nella gabbia?
Non ho mai preso in considerazione l’idea di combattere nella gabbia per le motivazioni che ho spiegato precedentemente e perché ora sono focalizzato solamente sul BJJ. 

-Hai creato una tua squadra di BJJ, l'Aeterna Jiu Jitsu, con grossi risultati sportivi. Ci parli di quest'avvenura: come e perché mettersi in proprio? Com'è organizzato il training da voi?
L’Aeterna Jiu Jitsu è nata per causa di forza maggiore. Io, mio fratello Fabio, Mirko Silvestri e Paolo Antonini avevamo la necessità di creare un nostro gruppo così è nata l’Aeterna Jiu Jitsu. Abbiamo un programma ben preciso che viene diviso mensilmente, poi in base agli impegni agonistici impostiamo l’allenamento. Per noi mettersi in proprio è stato un vantaggio, ma non sempre è la cosa giusta da fare. 

Hai mai seguito il nostro blog, REALISMO MARZIALE? Cosa ne pensi?
Sarò sincero: non seguo molto i blog, ma ne ho sentito parlare molto bene. Saluto tutti i lettori di Realismo Marziale e auguro buon allenamento.

lunedì, gennaio 27, 2014

IMANARI, L'AMPUTATORE DI ZAMPE


C'era una volta la favola, la leggendaria storia dove il piccoletto abile batte il gigantone muscoloso in pochi secondi. Poi cresci e finisci per credere che le favole siano solo dolci menzogne. A meno che tu non abbia il culo di incontrare il Jiu Jitsu..

Ebbene, signori e signore, se volete la prova vivente di quello che testé affermai, vi basti incontrare qualche leggendario campione, e in particolare Masakazu Imanari, ovvero "colui che stronca le gambe". Da lontano sembra il solito bassottello asiatico, ma basta avvicinarglisi per avvertire la potenza del suo spirito, il furore appena sopito del samurai, un arma vera e propria ambulante.  

Ho avuto l'onore di potermi allenare con questo incredibile atleta giapponese grazie all'ospitalità di Alessandro Panettieri, patron del Bulldog Clan Bologna, che lo ha invitato una settimana presso la sua accademia felsinea.

Alcune ore di lezione privata per me e 3 miei allievi volenterosi, tutte incentrate sul pezzo forte di Imanari, le leve alle gambe, di cui è il più famoso (e temuto) esponente al mondo. E mai soldi furono spesi meglio, credetemi.

Serio e moderato nei gesti come i suoi connazionali in genere, il sensei ci ha colpito non solo per l'incredibile dolore che riesce a infliggere senza nemmeno stringere la presa (quasi che abbia lame al posto delle ossa dell'avambraccio), ma anche per le sue incredibili affermazioni con cui ha risposto alle nostre domande sul come e dove avesse appreso quel reticolo tentacolare di attacchi agli arti inferiori: "No school, no particular academy, just by myself, in my own mind"!! Non c'è scampo; in qualunque momento di un combattimento, e da qualsivoglia posizione, lui ti acchiapperà sicuro una gamba, e te la trebbierà, figlio mio...

Ringraziamo 'The leg hunter' e speriamo di poterci abbeverare presto alla sua istruzione così qualificata e così unica nel suo genere.