lunedì, luglio 25, 2011


L'INSOSTENIBILE PESANTEZZA DELLO SPORT


Con la riflessione di oggi torno alla funzione indispensabile dell'arte del Jiu Jitsu quale "spazzino" dell'interiorità nostra, strumento di salute psicofisica.

Carini gli orsetti che giocano, vero?
Come tutti i mammiferi -umani compresi- i cuccioli di plantigrado crescono giocando a lottare tra di loro. Avete avuto altri post in cui ho spiegato l'ineliminabile funzione educativa della 'lotta' per gli esseri umani, e più di recente ne ho affrontato la funzione catartica negli adulti per lo stress introiettato nella vita quotidiana.

Lottare fa bene, lottare è non solo utile ma provvidenziale. Lottare è ANCHE uno sport inteso come attività regolamentata e organizzata a fini agonistici, e anche qui ci siamo: abbiamo spiegato molto assai la relazione costruttiva arte marziale/sport in tanti articoli, e pure quella distruttiva ove l'aspetto sport prevalga su quello arte fino ad annichilirlo.

Anche pensare troppo e troppo praticare una certa attività seppur non-agonistica è deleterio, però. Le fissazioni, di qualunque tipologia siano, rappresentano un vicolo cieco della mente e anch'esse ingenerano stress e malattia. Il bello di una passione finisce quando diventa ossessione, ricordiamocelo.

La reale caratteristica curativa del Jiu Jitsu e di arti consimili è quella di lasciar esprimere la vera natura dell'uomo, di permettergli d'infilarsi in un'attività totalizzante e libera, con pochissimi schemi, e dove il movimento fluisce come acqua dalla fonte. La parte più godibile e produttiva di ogni sessione è sempre il randori o sparring tranquillo, in cui istinto, tecnica e prestazione si fondono in un tutt'uno che ci dà così grande benessere. Avete mai lottato, amici? E' del tutto IMPOSSIBILE mantenere il malumore e i cattivi pensieri soliti quando ci si rotola, è fisiologicamente infattibile dato che si entra in uno stato alterato di coscienza, è una salubre fuga dai rimuginamenti e dalle circonvoluzioni mentali comuni per lasciar emergere un altro noi più vero e onesto, ed è proprio per questo che è così riposante uscire stremati dall'allenamento. Chi lotta da un po' diventa affamato di questo lavacro mentale quotidiano, Jiu Jitsu-dipendente, e finisce per innervosirsi quando non può aggrovigliarsi per più di qualche giorno.

In questo senso l'arte suave è quanto di più lontano si possa immaginare dalla moderna impostazione dello sport: numeri, tabelle, schemi rigidissimi da seguire, centimetri kg e pulsazioni da verificare con svizzera precisione, inflessibile rigore.

Stress amici, stress.

Certo un bellissimo stress, un doveroso impegno, ma faticoso per la nostra povera anima già così fiaccata da tanti pesi. Tanti anzi troppi amatori finiscono per caricarsi in palestra di una mole di lavoro superiore a quello che già subiscono in ufficio o fabbrica, e questo è devastante, altissimamente usurante per queste persone.

Come mai possiamo esprimere noi stessi, esseri nati per vivere liberi e creativi, se al già enorme carico disumanizzante impostoci dalla società contemporanea aggiungiamo quello aggiuntivo dello sport vissuto come se fosse lavoro?

Non facciamo confusione, non è che io levi odi alla pigrizia o al disimpegno, sarei un pessimo bugiardo, visto che mi alleno circa 7-10 volte a settimana. Affermo invece con assoluta certezza che la spirale insidiosa della iperprogrammazione e mega assunzione di impegni è lì davanti al serio amatore, che rischia di imitare il professionista di cui però non dispone dei mezzi (fisici e finanziari).

Troppo spesso incontro sportivi emaciati, bianchi come cadaveri, crettati dalle rughe e sfigurati dalle occhiaie. Non possono stare 10 sec. senza menzionare la scheda settimanale, il nuovo integratore, la curva di potenza in discesa etc etc. Stanno male, sono stressati ma non se ne rendono conto perché "lo sport fa bene". Il critico momento non viene giustamente interpretato e invece si va con il "più è meglio" fino all'inevitabile infortunio o crisi sistemica generale.

Ogni allenatore decente sa che la motivazione e l'esperienza date del gareggiare sono impagabili, ma sa anche che non si può tenere il 'tiro' da gara per molto tempo, pena il bruciare l'atleta, e la gestione dei momenti Off/Pre competizione è infatti uno degli skills più delicati. La costrizione e l'ansia da prestazione, la paranoia e la fatica che sono generate dalla data fatidica sul calendario infatti gravano tantissimo sulla psiche ed è doveroso ricordare la differenza tra chi si allena di mestiere e gli altri.

Per noi lottatori dilettanti lo sport DEVE essere divertimento in primis, una fonte di sollievo dai guai quotidiani e un momento di socialità senza fisime. Sarà un divertimento sudorifero e faticoso, un divertimento fatto di tecnica e di attenzione ai dettagli invece che di sbrago e idiozie da pallonari, ma sempre divertimento è. Meno è spesso meglio di tanto, bisogna tenerselo a mente, e lasciare che degli innocenti impiegati, professionisti e metalmeccanici possano entrare nella liberatoria trans della lotta senza eccessive aspettative da parte dell'allenatore. Per non incorrere nell'eccesso opposto e scadere nella mancanza di competitività, i migliori coach prevedono all'uopo turni agonisti separati, dove chi è nelle condizioni di farlo (ad es. studenti, ereditieri e disoccupati) possa trovare quella necessaria temeperie e fiamma di cui ha bisogno per misurare se stesso con profitto in gara.

Da parte mia mi piace notare che non ho mai visto:
1) un animale selvatico fuori forma
2) un animale selvatico nevrotico

e nemmeno un animale che si stra-stressi nel gioco e nel ruzzare con gli consanguinei!

Loro sanno quando dire basta, l'istinto da una parte e le dure necessità della sopravvivenza dall'altra danno loro la "tabella d'allenamento" corretta. Noi umani invece, che abbiamo perso entrambi, dobbiamo passo passo ritrovare l'Arte per sopravvivere alla mala vita moderna ma senza abusare della medicina, che altrimenti si tramuta in veleno mortale.

Il Jiu Jitsu fatto troppo duro e male è un Jiu Jitsu sbagliato, è un Jiu Jitsu monco del necessario e abbondante del superfluo e che non mantiene le promesse di salute e benessere per tutti. Quanto e come sia il troppo è argomento spinosissimo e impossibile da generalizzare, infatti parliamo dell'arte nell'arte e cioè dell'insegnamento..ma di questo vorrei discutere un'altra volta.



domenica, luglio 17, 2011



STORIA DI MARIO "GAMBADILEGNO",
JITSUKA POCO SPECIALE


Un effetto collaterale del tenere un blog coi commenti aperti, è la profusione di veleno sparso da anonimi cuor di leone che si dilettano nel mettere in mostra la loro cronica, catastrofica mancanza di attributi appesi all'inguine. Un tempo non consentivo i commenti ai post senza essere registrati ma da quando ho aperto è la sagra del mongolo senza-nome.

Questo il 'geniale' commento apposto in calce all'articolino che comunicava il faticoso mio raggiungere la cintura marrone:

"Complimenti Mario, essere marrone predicando e senza aver mai lottato è una gran cosa"


Devo ringraziare questo pavido eunuco, mi ha dato il la per un post autobiografico, che può forse interessare chi segue questa pagina.

Ho cominciato a fare BJJ nel 2003 cioè a 34 anni, troppo troppissimo tardi, all'età in cui di solito la gente smette di picchiarsi coi giovini io ho iniziato a misurare sui tatami. A differenza di ciò che dice il castrato anonimo, ho gareggiato sin da subito nella Submission e anche preso qualche metallo all'Europeo IBJJF, al London Open e poc'altro. In effetti l'ultima mia gara da atleta è stata alla prima edizione del Torino JJ Challenge in cui persi da un forte atleta USA, ma come ho specificato al perdente anonimo, su quella mia gara c'è un articolo del blog dove si linka anche il video youtubbiano (:andate nell'archivio). Per i più curiosi consiglio di controllare il mio curriculum sul sito ufficiale, senza saltare la vecchia pagina delle foto a documentare qualche mio podio (di poco conto).

http://www.team-centurion.com/generic.php?page=insegnanti

http://www.team-centurion.com/generic.php?page=foto

Se io oggi a quasi 43 anni non gareggio più, si potrebbe ipotizzare per semplice pudore, desiderio di evitare figure escrementose agli occhi dei miei colleghi, per pigrizia, cose così. Invece no, amici, la storia è un pochetto differente. Nella infuocata estate in cui conobbi il Jiu Jitsu io ero già un handicappato.

Come ben sanno i miei allievi e il mio insegnante, il sig. Mario Puccioni è portatore di una grave forma di impedimento alla gamba destra, frutto di un incidente di allenamento del 1995. Già all'epoca ero alla ricerca di grappling e mi recai a fare un prova nell'unico stile che conoscessi impiegarne, il Sanda. Deluso e frustrato per non riuscire a proiettarmi, l'istruttore pensò bene di azzopparmi ed entrò con una forbice assassina sulla coscia, ROMPENDOMI DI NETTO L'ARTO. Ricordo con orrore la sensazione di cadere pesantemente al suolo, sentendo la mia gamba piegarsi in due come fosse di gomma sgonfia!

Poi malasanità, cure approssimative, sfortuna, insomma il vostro polemico Mario è oggi 'fortunato' gestore di un'articolazione del tutto criccata:

1) non ho più crociato anteriore
2) non ho nemmeno il collaterale interno, e l'esterno è sfilacciato al 90%
3) i meninschi sono esplosi

ma quel che è peggio è che

4) la cartilagine è devastata e consumata dall'artrosi

rendendo impossibile qualunque operazione.

Mi dissero che non avrei potuto far altro che nuoto, ma io non mi sono arreso e a prezzo di una faticosa applicazione certosina ogni santo giorno alla preparazione specifica ho smentito i gufi (e gli anonimi vigliacchi).

In TEORIA io non dovrei poter assolutamente riuscire a lottare MAI, cosa che invece faccio tutte le sere cari lettori e caro il mio anonimo, anche se un posturologo che di recente mi ha visitato ha considerato inspiegabile che riesca a rotolarmi e aggrovigliarmi come in effetti faccio. Tutte le poche gare che ho fatto da vecchierello le son riuscito a fare a prezzo altissimo, dolori articolari pazzeschi tanto per cominciare. Non lo dico per chissà quale bisogno di commiserazione, era un'ammissione che è venuto il momento di fare a causa del successo di 'sto blog.

Quando iniziai a fare Jiu Jitsu ero già quasi nella categoria Senior anche se il bronzetto all'Europeo è stato negli adulti, sapevo dunque che non sarei mai stato un iradiddio nelle gare ma c'ho provato a far qualchecosina. Purtroppo negli ultimi 2 anni la situazione già schifosa del ginocchio è precipitata.

Il mio scassato rondellone si regge da quando faccio BJJ solo sulla pelle e sulla forza muscolare, senza legamenti né "viti" (i menischi), e ora non ce la fa più. Succede molto di frequente che durante allenamenti o semplici movimenti quotidiani io subisca una dislocazione dell'articolazione che si blocca. In quel momento sembro un soldato ferito dei film di guerra, mi devo trascinare a lato tatami e con pazienza e dolore far rientrare il ginocchio. A parte le bestemmie in 954 lingue non c'è nulla da fare per questo mio handicap, solo sopportare e continuare ad allenarsi. Ho dovuto far buon viso a cattivo ginocchio e adattare profondamente il mio gioco alle mi condizioni di salute, ad es. abusando della guardia anche se sarei passador e lasciandomi quasi completamente lavorare dall'avversario che mi oppone la sua 1/2 guardia, esiziale per la mia povera gambotta.

Chi lotta nei campionati sa che un conto è rotolare con gli allievi, un altro è sviluppare quel volume di lavoro che serve per preparare una competizione. Ebbene, io quei carichi non li reggo più, semplice. Posso sì lotticchiare con discreta frequenza insegnando e ogni poco lanciare un urlo strozzato&avanzare sui gomiti strisciando per far rientrare il benedetto ginocchio, ma quando ho provato a compiere una programmazione seria son finito con le stampelle, cosa che tra l'altro non mi posso assolutamente permettere.

Faccio pesi specifici tutti i giorni, esercizi propriocettivi tutti i giorni, yoga tutti i giorni, seguo un'alimentazione e una supplementazione irreprensibili ogni cavolo di giorno, ed è solo grazie a questa disciplina che riesco ancora a dire la mia sulla materassina; è una dura ma deliziosa routine per chi come me brucia d'amore per l'arte suave, non me ne sto certo lamentando.

Come i lettori di questo blog sanno, iniziai a insegnare perché a Firenze ero solo, non c'era nessuno con cui allenarmi all'epoca. Oggi parecchia acqua è passata sotto i ponti, il BJJ italico è uscito dall'infanzia e produce atleti di caratura europea e internazionale. Parecchi di loro si sono rotolati con il sottoscritto in questi 8 anni, e quindi è loro che bisognerebbe chiedere se ho mai lottato, in effetti, e al mio insegnante che, bontà sua, mi ha concesso la cintura marrone senza il permesso dell'anonimo vigliacco commentatore. I miei allievi e colleghi seri sanno che non mi sono mai fatto vanto di qualità combattive o illustri palameres che NON ho, e c'è pure qualche articolo del blog in cui ho parlato dettagliatamente dei miei ampi limiti. Un difetto che però non ho o almeno non credo di avere è la codardia del disonorevole vile che si nasconde dietro altri o dietro paraventi per diffondere zizzania, e questo fastidioso blogghetto anti-politically correct ne è, vivaddio, la prova provata.

Il Jiu Jitsu che il mio insegnante e i maestri ospiti sono riusciti con la loro abilità trasfondere in me è per mia colpa ben poca cosa, ahimè, non sono campione a nessun livello, io. Sono un appassionato senza l'uso di un ginocchio che cerca di fare il suo meglio. Cerco di aiutare gli altri a godere dei benefici divini di quest'arte e di diffondere informazione -gratuita e libera- sui metodi migliori per stare in forma e inquadrare il fenomeno Arti Marziali senza pregiudizi o condizionamenti ipnotici. Non ho mai rifiutato di lottare con nessuno sulle materassine di mezzo mondo pur essendo in pratica un disabile, solo questo. Per i miei ragazzi voglio essere un coach e un amico, nient'altro.

Ciao scarafaggio anonimo, grazie della tua cattiveria da ominicchio, mi è stata utile.










lunedì, luglio 11, 2011


IL JIU JITSU COME TERAPIA



“La novità, la scoperta é che, quando non potete né farvi piacere, né fuggire, né LOTTARE, vi inibite. Il significato biologico dell’inibizione é: meglio non agire, per non essere distrutti dall’aggressione. Ciò va bene se serve a salvare al momento la vostra pelle, la vostra struttura. Ma se non siete in grado di sottrarvi molto rapidamente, da questo stato di inibizione, di attesa in tensione, allora in quel momento comincia tutta la patologia”.

(H. Laborit, 1970).



Questo post nasce da un'affermazione che ho fatto in uno degli ultimi post, ma anche in passato: il Jiu Jitsu salva le persone.


A più riprese ho parlato della funzione del Jiu Jitsu come arte tradizionale integrale per l'evoluzione della persona e suo miglioramento a 360°, una Via che contiene molti aspetti diversi, uno tra i molti è quello sportivo. Il serio e consapevole applicare di quest'arte richiede ovviamente insegnanti altamente qualificati dal punto di vista umano oltre che tecnico ma pure allievi che abbiano un alto profilo personale per ottenerne i veri e radicati benefici.


Il dizionario ci ricorda che terapia significa aiuto, dal greco teraps cioè aiutante. Chi aiuta chi? Un insegnante di BJJ che si rispetti ha la funzione di permettere all'arte, cioè lasciandola fluire e dandole il largo, di aiutare il praticante. Senza sconfinare nell'analizzare l'auto-terapia che il professor di arte suave così facendo amministra a se stesso, desidero ampliare il discorso sulla funzione coadiuvante che una seria pratica effettua sulle componente tri-articolata dell'individuo (corpo-psiche-spirito).


Negli ultimi anni i miei studi finiscono per incrociarsi sempre tra loro; neuroscienze, arti marziali, filosofia e storia, dietologia etc etc. A ogni passo che compio finisco sempre per inciampare nelle mie stesse scarpe, mi scopro a riscoprirmi di continuo. Mi rendo conto che le mie limitazioni culturali m'impediscono di formulare chissà quali teorie di vasta portata, però nel mio piccolo mi rendo conto di una cosa: l'immane peso della cultura e della moderna complessità sociale ci schiacciano e ci rendono malati. A un certo punto l'equilibrio raggiunto dalla civiltà (quella classica cioè) tra uomo e ambiente, tra genotipo e fenotipo, tra sviluppo della tecnologia e mantenimento della fisica umanità si è rotto, è stato rotto. Oggi noi moderni viviamo semplicemente nella paranoia, lo stile di vita e i dis-valori che ci sono stati imposti ci stanno letteralmente facendo a pezzi, e l'infelicità è praticamente la regola. Siamo bestie così stressate da impazzire nella nostra gabbietta.


Lontani come siamo tenuti dalla nostra vera natura, è ovvio che il depauperamento delle risorse nervose sia diventato pandemico. A ogni falso bisogno imposto segue l'inevitabile frustrazione che ci provoca depressione, un senso di vuoto a cui non sappiamo dare un perché e che ci logora. Il senso della vita e i motivi veri per andare avanti nell'esistenza sono stati cancellati, annullati dal Potere al fine di asservirci tutti per sempre, dato che un animale impaurito e trememondo sarà debole e pavido, lui stesso desideroso della catena che lo soggioga come unico rifugio a cui votarsi.


Come diceva il professor Laborit nel quote, un perenne e assoluto status di inibizione affligge tutti noi. Invischiati nell'impossibilità di scaricare tramite una sana fisica opposizione lo stress, ci ammaliamo pesantemente. Il tri-uomo soffre e piano piano degrada, non c'è verso. L'impossibilità di lottare è patologia, capite? Le cosiddette 'persone normali' annegano nello stress, ci sono immerse sin dalla vita uterina e vanno in pezzi a causa dell'impossibilità di gestire questa cosa, finendo obnubilati dai "rimedi" pro domo sua che il Sistema ha escogitato per canalizzare a fini utili l'immane flusso di dolore: tv, droghe, shopping etc etc. Quello che voglio dire è che la mancanza di metodi per parare il colpo, per spurgare almeno in parte le tossine psichiche li uccide e tra i pochi che fanno qualcosina al riguardo ci siamo noi, lottatori e affini.


Mentre i 'signorini ben educati' cercano un'impossibile senso della vita negli shopping center e nelle telenovelas, i pochi che si aggrovigliano su un tatami, che pigliano a botte un saccone e spostano dei cosi pesanti -attività per le quali siamo geneticamente programmati- hanno una valvola di sfogo che permette la terapia, l'aiuto. Lo stress è qualcosa di fisico e la sua gestione e (parziale) eliminazione è beneficio senza pari, una chiave per la propria interiorità. Come ripeto continuamente, i popoli civili sapevano esattamente che le forze oscure pigiate nel subcosciente devono venir amministrate con cautela, fatte erompere ma senza esplodere, ed è per questo che erano sempre invariabilmente paesi di lottatori (nota: ed è sempre per questo che le arti tradizionaloidi/fossili, aumentando la frustrazione e la castrazione del praticante -che pongono sotto la tutela del guru di turno e allontanano da se stesso e dalla propria coscienza- sono deleterie ai massimi).


La fuga in avanti dell'essere umano ci ha regalato la scrittura, le scienze, il progresso e tante meraviglie ma il suo sviluppo è stato troppo rapido rispetto alla lentissima evoluzione del DNA che prende intere ere, e quindi ci sta sterminando. Aver sepolto il guerriero primordiale sotto una giacca con badge aziendale lo sta trasformando in una specie in via d'estinzione, vittima dell'abuso dell'intelligenza. La particolarissima forma di sub-civiltà narcocapitalistica odierna su base digitale è in un vicolo cieco e si sta suicidando, devastando Gaia. A meno che uomini di buona volontà non recuperino la virtù non ce n'è per nessuno ragazzi, si chiude bottega.


Ritornando al nostro buon vecchio Jiu Jitsu, mi posso ampiamente esporre e definirlo appunto terapia. Giocare alla lotta, sviluppare schemi motori e canalizzare l'aggressività, socializzare in un ambiente sano e non materialistico, imparare a squadrarsi allo specchio formato dal tatami e scoprire i propri demoni, sono attività benefiche ai massimi. Il bisogno ASSOLUTO del nostro DNA di manifestarsi per quello che è, il codice della vita di una creatura nata per essere libera e per vivere in serenità, è una forza che non conosce barriere e i furbi malvagissimi che ci governano come animali domestici lo sanno alla perfezione, avendo in basse a questa realtà creato una gabbia invisibile per la quale non c'è fuga se uno non se ne accorge. Ben poche Vie restano aperte per snebbiare l'occhio interiore a noi ominidi del secolo disneylandiano, ma nessuna in base alla mia esperienza ha la capacità di regalare salute sui 3 livelli al devoto e conscio praticante. Altre scienze tradizionali sono essenziali alla nostra evoluzione, ma se prima non si sradica il mal di vivere e si fertilizza il terreno, è impossibile in questi tempi bui ottenere alcunché salvo rare e confermanti eccezioni, io penso.


Afferrare, grugnire sotto sforzo, sudare e tremare, digrignare i denti e salivare pesante, ruzzolare e schiacciare, sollevare e sgattoaiolare via, insomma lottare e cioè affacciarsi al burrone delle proprie paure e vigliaccherie è una Via alla conoscenza di sé. Non è l'unica, non è la più elevata ma è la prima, la più basica e fondante. Noi siamo nati per esprimere noi stessi nella ricerca della coscienza, e reprimere la nostra vera natura lo rende impossibile. E questo è il più grande crimine. "C'è del marcio nel centro commerciale" direi quotando il M° Shakespeare, colui che nel suo magistrale Amleto descrive in fondo proprio l'individuo alienato dalla sua stessa natura e perciò eternamente insoddisfatto, malato di un dolore che non trova cura.


Io non sono un filosofo da strapazzo, sono solo un lottatore di Jiu Jitsu, ma so quel che dico, amici. La nostra arte salva le persone, gli permette di trovare -almeno parzialmente e a condizione che ci si dedichino con coscienza- un senso di pace costruttivo che il povero principe di Danimarca non conosceva, cioè alla pari del derelitto Giacomo Leopardi di qualche post fa. Può infatti parlare così infatti un fittizio regnante medioevale, ma mai avrebbe potuto Shakesperare mettere con credibilità simili concetti in bocca a un letterario condottiero dell'antichità grecoromana, un Leonida o un Adriano cesare, guerrieri e lottatori infulcrati nella fede nei loro Dèi, e quindi uomini sani e normali, con sani e normali rapporti umani e del tutto salvi da quel malanno moderno dell'uomo sfuggente.


A più riprese, sfidando il senso comune e il riso di certi miei colleghi, mi permetto di usare questo blog come un pulpito. Io conosco le potenzialità di questa nostra arte e mi son prefisso lo scopo di aiutare quante più persone ad aiutare se stesse, ecco quanto. Fate quel che vi pare, e soprattutto non date retta a me che non sono nessuno, ma fatevi soltanto il favore di risalire la china dello stress patologico: venite a lottare insieme a noi.


Finisco come ho iniziato, con una citazione:


"Respingo i principi base della civiltà moderna, specialmente l'importanza dei beni materiali."

Tyler Durden in Fight Club

mercoledì, luglio 06, 2011



UN FINE DI STAGIONE COLORATO DI MARRONE


Ebbene sì, miei grandi e stimati lettori, alla fine (della stagione) arrivò il conto. Il mio riverito insegnante e direttore tecnico nazionale, il bello crinito (...) Federico Tisi, ha avuto il coraggio di promuovermi a cintura marrone nell'occasione del raduno nazionale che s'è tenuto al Mondo Fitness di Roma sabato scorso, presente il superjitsuka galattico docente Lucio"Lagarto"Rodrigues, l'anaconda terribile della Gracie Barra.

Credo un po' maliziosamente che il nostro mestre Tisi abbia voluto onorare più la mia venerabile età che il valore, ma tant'è, lui decide e io obbedisco. Molti anni di lavoro quotidiano e appassionato non hanno certo fatto di me un temibile jitsuka ma certamente devono aver suscitato un qualche forma di apprezzamento nel mio DT il quale ha reputato che il sottoscritto dovesse caricarsi di un onere aggiuntivo.

Eh si, amici, nel BJJ la cintura più alta non rappresenta nessun premio, è un peso da sostenere. Più il colore si avvicina al nero più tutti i grappler che t'incontrano fanno l'impossibile per tentare di sfasciarti un legamento, e questo è risaputo. Avere un grado alto - e marrone lo è abbastanza- significa doverlo difendere con le zanne, ma anche questo fa parte del destino di un lottatore. Cresci di età e di esperienza e più gravosi carichi ti vengono deposti sulla groppa, è normale. Essendo io adesso l'allievo in attività con più anzianità di servizio tra gli istruttori di Federico, so benissimo quali sono i miei limiti. Quello che posso aggiungere è che faccio e sempre farò l'umanamente possibile per superarli.

Il nostro team centuriato adesso consta dunque di un insegnante cintura marrone, moi, e 2 miei allievi in viola, Stefano"Tortello"Dabizzi e Francesco"Taba"Braccini, dico onestamente un board di tutto rispetto per gli aspiranti allievi e per gli amici di passaggio che avessero voglia di razzolarsi sul tatami in allegria con noi. Stiamo preparando molte iniziative sul territorio per aumentare e migliorare l'offerta di autentico Jiu Jitsu stile brasiliano a Firenze e nella Toscana tutta, sempre tendendo ad accrescere la nostra professionalità e abilità tecnica.

Senza nessuna retorica ringrazio il mio vecchio amico e maestro Federico:
senza di te e il tuo lavoro diligente e capace la diffusione dell'arte suave starebbe ancora anni luce indietro qui in colonia italy, mestre mio; ti dobbiamo e devo tutto, e io non scordo: OSS!