UN ARTE MARZIALE PER I TEMPI DI CRISI
No, non vi preoccupate, vi eviterò i discorsi su spread, tasse, licenziamenti etc che vanno tanto di questi tempi. Quest'articolo parla di un sistema di combattimento a me caro e a voi noto, il Jiu Jitsu stile brasiliano.
Prima però parliamo delle 'concorrenza'.
C'era una volta un tristo personaggio, un ometto dalla scarsa forza di volontà ma dai profondi complessi d'inferiorità radicati nel suo animo. Deluso da se stesso, l'ometto amava rifugiarsi nelle sue fantasie ove egli, da mezzasega pauroso, si trasformava nell'impavido eroe che butta giù i cattivi. Il figuro difettava di muscoli ma non di ambizione e per fingere d'essere il duro, si creò maestro di arti marziali. Piglia un kata qui, rubacchia una sequenza là, dopo un disonesto peregrinare per corsi di stili del tutto inutili ai fini del combattimento, ecco che dalle mani del personaggino nasce uno stile tradizionale. I seguaci del "maestro" sono esseri della sua stessa fatta, entusiasti all'idea che ora sì, hanno trovato il segreto, la via comoda che permette di atteggiarsi a uomini, dirsi combattenti senza mai combattere. Con abili tecniche di manipolazione e creazione di leggende fantasmagoriche inizia la "tradizione", poi la sete di denari e onori farà il resto (come per tutte le sètte).
Che questa storia sia ambientata nella Cina del XVI secolo o nella colonia italy del XXI non fa nessuna differenza.
Come i miei lettori ben sanno, caratteristica delle arti inutili o tradizionaloidi è la certosina esclusione di tutte le metodologie che rendono un vuoto movimento una tecnica di combattimento: sparring regolare con avversari non collaborativi ed esperti, e gare a contatto pieno (striking o grappling o mixed). La sètta marziale non sopravviverebbe alla prova del nove e che è quindi vietata con motivazioni oltre il ridicolo.
Le arti da combattimento reale sono in effetti molto poche, e sono a loro volta varianti o sottoscuole di pochissimi metodi di corpo-a-corpo o percussioni.
Cosa distingue il Jiu Jitsu dagli altri 3 Pilastri o restanti Arti Magiche? Molte cose a dire il vero, a livello tecnico-tattico ognuna delle quattro copre un'area differente e questo si sa. C'è però un tratto caratteristico del BJJ che non è presente nelle discipline gemelle, ed è precisamente che l'arte suave inizia a formare una cintura bianca ponendolo sistematicamente in posizioni di inferiorità, come ad esempio sotto una montada. E' un arte nata per la difesa personale e ha conservato questa caratteristica precipua anche con la sportivizzazione: in un confronto reale le cose di solito vanno male, e un omaccio grosso è facile che mi metta sotto di prima.
Anche negli altri metodi realistici esistono routines ed esercizi in cui il soggetto parte in difficoltà, ma è solo nel Jiu Jitsu che il praticante viene allenato in maniera costante facendogli cedere la posizione e l'iniziativa.
L'abitudine a non essere in vantaggio (di tempo, di adrenalina o di peso) è quella che genera il titolo di questo articolo: so che se le cose vanno male il praticante di BJJ ha subito in palestra e anche in competizione migliaia di volte ben di peggio da compagni allenati e tecnicamente ben più preparati di Peppino o' scannafosso da cui si viene aggrediti in un parcheggio, e nel profondo della psiche questo genera una tranquillità senza pari al momento dello sfortunato evento.
L'idea che durante un confronto non sportivo noi si sia lucidi e reattivi come un eroe dei fumetti è irreale. Se veniamo attaccati significa che l'aggressore ha percepito una nostra inferiorità fisica e/o situazionale. Le persone normali, anche atleti di SdC, si emozionano durante una rissa, e se sono stati messi nel mirino significa che qualcosa li rende -almeno apparentemente- facili vittime all'occhio del nemico. Nessun peso massimo di boxe verrà mai aggredito da zia Pina con la borsetta,e tantomeno il ragionier Rossi di Mengrate sul Tanaro , pensionato Impdap, deciderà di picchiare un energumeno tatuato dal collo enorme e i tatuaggi anche sulle palpebre.
Ordunque, si ribadisce il concetto che in una rissa o aggressione bisogna ipotizzarci inizialmente perdenti o in grossa difficoltà, per vincere. Si scivola, i colpi non partono, arriva una ciaffata di sorpresa che ci paralizza, c'è la paura della denuncia e mille altre variabili psicologiche e ambientali NON RIPRODUCIBILI IN PALESTRA. Aver "perso il tempo" significa che ci hanno colpito, afferrato per la collottola o buttato sotto a terra.
Il jitsuka è addestrato con tanto sudore a stare per terra con uno che tenta di tirargli un rigore nella capoccia, in piedi con la testa stritolata dallo scannafosso di 120kg, e spiaggiato sotto una montada con lo stesso omone che desidera polverizzargli la giugulare. Quindi è abituato a "reggere la concorrenza" e a ribaltare un esito scontato, evitare un deault annunciato, come la Grecia contro l'Unione Europea insomma.
Il piccolo può battere in grande, questa è la verità manifesta del Jiu Jitsu, e invito chiunque non mi creda a provare con una valida cintura nera di 60 kg: buena suerte! Ciò avviene perché il 'piccolo' è passato per anni e anni di specifico addestramento che gli consente di non temere nessun muscoloso ma inesperto avversario. Nulla gli dona l'invincibilità, certo non il BJJ, e spesso l'arte marziale non basta, una bottigliata nell'osso occipitale azzera tutto. L'importante è esserne consci, aver seguito un addestramento che ci insegna a perdere.
La deriva mentale è evitata, si resta coi piedi per terra e si pratica per i veri importanti motivi che debbono animare un adulto privo di mostri invalidanti nel suo cervello: stare in forma, socializzare in un ambiente sano, divertirsi imparando qualcosa di utile. Se poi la crisi arriva, si sarà preparati a gestirla.