Emerge oggi da ogni fonte che il pubblico potenziale del Jiu Jitsu sia rapidamente trasformatosi, in particolare si è creato un canyon tra MMA e arte suave, laddove gli aspiranti cage fighters non sono più interscambiabili con i jitsuka quasi a nessun livello. Allo stesso modo la richiesta di tecnica per la difesa personale - sempre e comunque la primaria spinta a iscriversi in un'accademia- viene progressivamente obnubilata dalla ricerca spasmodica che le persone hanno di trovare una valvola di sfogo allo stress esistenziale. In pratica iniziano con una confusa e incompresa voglia di "imparare a difendersi" ma in breve tempo i neofiti sentono ben più impellente la necessità di una pratica che li faccia rilassare, sudare e scaricare quella tensione nervosa intollerabile che li attanaglia.
Attenzione maestri e tenutari di accademie: trattasi di un cambiamento sociale nel panorama antropologico di non piccola entità, e la maggior parte dei corsi/scuole NON è in grado di comprenderlo e quindi di trarne profitto.
Uomini e donne, perlopiù non giovanissimi, sono sulle tracce di qualcosa che non sanno descrivere (né forse capire) ma che quando lo trovano riescono subito a percepire e a convalidare con abbonamenti copiosi. L'epoca dei pionieri ispirati dagli exploit di Royce Gracie all'UFC è terminata. In pratica, se vogliamo cogliere quest'onda di cercatori dell' antistress e legarli alla sana pratica del Jiu Jitsu è indispensabile una riflessione e rimodulazione dell'offerta commerciale. Negli USA questa ristrutturazione del prodotto-BJJ è già avanzata, con la sua suddivisione in differenti nicchie rivolte a target diversi.
Sento il mormorio montare, però sia chiaro un concetto: il cambiamento non si può impedire, lo si può soltanto anticipare e utilizzare oppure subire supinamente. Fatto sta che la società è cambiata, il mercato è cambiato, e il BJJ da novità assoluta -rivolta quindi essenzialmente a un microscopico manipolo di duri&puri- è inevitabilmente mutato sottopelle, assumendo una nuova identità. Bisogna saper stare accorti e cogliere cosa di benefico può accordarci un cambiamento inevitabile che, se avversato, ci travolgerà inesorabile. Altrimenti l'insegnante/scuola/arte affonderà risultando un BETAMAX.
Ai tempi in cui esplose la diffusione delle videocassette, il mercato si polarizzò intorno agli standard che alcune grandi case cercavano di imporre. La Sony, leader nel settore, aveva sviluppato una tecnologia che a tutti gli effetti era migliore del VHS ideato dalla JVC. Forte di questa superiorità qualitativa, la grande casa giapponese andò avanti arrogante per la sua strada, ignorando i segnali che arrivavano dai negozi. "Il nostro BETAMAX è 10000 volte meglio" sembravano pensare alla Sony "quindi alla fine la gente capirà PER FORZA". Purtroppo per forza non si fa nemmen l'aceto, diceva mia nonna buonanima, e com'è successo miliardi di volte nella storia, il prodotto inferiore finì per soppiantare quello superiore per colpa della cecità e dello snobismo.
A mio modo di vedere non si può ignorare il successo di chi riesce ad avvicinare e a mantenere in palestra tantissima gente, insegnanti occhiuti che sono in grado di dare sostanza a un desiderio 'de panza'. Non fare questo ci porta a un bivio: o si riesce a imporsi come scuola di élite per soli campioncini, del tutto rivolta all'agonismo puro stile ATOS, oppure si rischia l'implosione. La tecnica non ha bisogno di remise en forme, upa e uscita d'anca vanno benissimo così, la mentalità e la gestione delle classi invece sì.
Come ho sottolineato molte volte anche io su questo blog, è relativamente facile insegnare ai campioni senza dover tener conto dei numeri! Fossimo stipendiati soltanto per far vincere agonisti semipro o professionisti tipo i coach delle squadre olimpioniche, allora sarebbe normale ed efficace imporre ritmi elevatissimi e tecnica a 24 carati stile Tana delle Tigri, ma la realtà è che il nostro futuro è legato alla capacità che abbiamo di far entrare e rimanere in accademia il sig. Rossi e la sig.ra Bianchi.
La società occidentale contemporanea ci porta al desk della palestra persone adulte in confusione, sfiancate da ritmi lavorativi infernali e alla ricerca di un PORTO SICURO: di un ambiente pulito e positivo, in cui fare amicizia, sudare e alleggerirsi di quella zavorra tremenda che si portano addosso. Vogliono certamente imparare a difendersi, ma poi rimarranno in accademia solo se il contesto sarà adatto a loro. L'epoca dei dopolavoristi guerrieri in kimono è terminata, ci sono persone che hanno bisogno come dell'aria di maestri energici ma sorridenti, compagni di materassina forti ma educati e comprensivi, curriculum formativo ma non troppo stringente e oneroso. Sono borghesi insicuri e fuori forma, E' IMPOSSIBILE pensare di allenarli come Buchecha o Jacarè.
Siccome conosco molto bene le capacità benefiche che il Jiu Jitsu può donare, la sua inerente abilità di reindirizzare la gente verso stili di vita positivi, e infondere fiducia in sé, considero imperativo per me in qualità di insegnante e reggitore di accademia, sforzarmi di comprendere le tendenze della nostra compagine sociale e inserirmi all'interno dei suoi sommovimenti ed evoluzione. So per certo che se non studieremo il problema e non correggeremo il nostro linguaggio, rischieremo di vanificare i nostri sforzi e di gettare alle ortiche questa meravigliosa arte, rendendola opaca e incompresa ai nuovi adepti potenziali, soffocandola piano piano e distruggendone un altrimenti brillantissimo futuro.
Il Jiu Jitsu può dare tanto a tutti, ma è dovere di chi lo trasmette renderlo palatabile. Altrimenti il domani sarà incerto, rischiando anche noi di diventare un BETAMAX, il gioiello dimenticato.
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