mercoledì, luglio 03, 2013

Il COMBATTIMENTO NATURALE DELL'UOMO


Il COMBATTIMENTO NATURALE
DELL'UOMO

A Madre Natura non la si fa. La Divina Intelligenza ha le sue regole, e se per hibrys (arroganza) si pensa di trasgredirle, be' la botta di umiltà che ne segue è molto educativa.

Ho spiegato in vari articoli come mai lottare corpo a corpo sia da considerarsi NON uno sport ma una   caratteristica funzionale della razza umana, come respirare o deambulare. La nostra anatomia, dallo scarso equilibrio del bipede all'assenza di protuberanze contundenti quali zanne e artigli, fa di noi umani dei jitsuka a priori. La massima efficacia in combattimento disarmato in tutte le culture è sempre stata valutata con il lottare, con il buttare a terra per la precisione. Anche le scienze naturali ci insegnano come azzuffarsi sia il mezzo principale per i membri della cucciolata di giocare e di stabilire delle gerarchie.

Il Jiu Jitsu è una scienza molto razionale. E' basato sulle leggi della fisica e dell' anatomia, ed è stato codificato in maniera che fosse open source (vedete negli archivi questo tema), ossia che potesse essere implementato ed evoluto, senza poter essere rinchiuso nei dettami di un'ortrodossia pretesca di esegeti "illuminati". Risponde con precisione alla domanda fondamentale delle arti marziali: come può un individuo aver ragione di un aggressore più grande e forte di lui?

Ci tengo a rimarcare come tra tigri o licaoni non ci siano arbitri né categorie di peso, e che il regno animale nella sua immensa bellezza è costretto a rimanere per sempre nei limiti dettati dall'ereditarietà. L'essere umano, che di quel reame è parte ma non in toto, si situa a metà dei mondi. Ha carne ma anche pensiero, ha istinto ma anche riflessione. A mio modo di vedere il Jiu Jitsu permette sapientemente di coniugare le esigenze insuperabili delle leggi della meccanica e fisiologia con la capacità di astrazione e proiezione del futuro che ci è propria. In parole povere: unisce il meglio di entrambi.

Vi sottopongo un video per meglio esplicare il concetto. Due maschi adulti in "lite per il territorio" si fronteggiano, e si capisce immediatamente che il più grosso fa affidamento unicamente sulla massa mentre l'asiatico vorrebbe usare uno 'stile' di percussioni.




Come avete potuto osservare, lo striking è andato subito a farsi benedire davanti alla carica grezza del bombardone ed è bastato che il meno nerboruto avesse delle nozioni davvero minuscole e confuse di Jiu Jitsu per prevalere sul muscolone. Nessuno dei contendenti voleva davvero il grappling per sé, epperò la fase al suolo è stata comunque:
1) inevitabile
2) decisiva

E' una scena già vista, diranno i miei più assidui lettori, e inoltre abbastanza scontata per chi pratichi il realismo marziale. E' un concetto che però stenta a entrare in testa alla masse di profani, destabilizzati dalla disinformazione cinematografica, e impossibile a far entrare nella capoccia dei marzialioti indottrinati.

Riconoscendo la inevitabilità o quasi dell'inferiorità posizionale quando confrontati da un omone grosso e incacchiato, il BJJ ha sviluppato una strategia all'interno di un quadro tecnico antico, evolvendo il lascito nipponico e adattandolo alle esigenze dell'epoca contingente. Chi non si adatta muore in Natura, lo sanno anche i bimbi delle elementari. Se si sa come farlo, persino il doppio dei muscoli non sono un problema insormontabile, e una persona dal fisico minuto PUO' battere un gigantone il doppio di lui.




La mia 25ennale esperienza nelle arti marziali mi dice che, a meno di essere arrivati a un livello altissimo agonistico (pro o vicino), l'unica forma di combattimento che permette al piccolo di battere regolarmente e senza troppo uso della forza i bestioni è il BJJ. Ogni seria cintura nera di questo stile ha reali possibilità di sopravvivenza contro un omone il doppio di lui che davvero gli voglia staccare la testa dalle clavicole e non solo fare allenamento collaborativo. 




Paradossalmente questo risultato si ottiene proprio allenandosi 'piano' e con abbastanza lentezza, facendo cioè uscire fuori la dote mentale dell'essere umano oltre che (e sopra de) la forza bruta dei muscoli. Ripeto: il Jiu Jitsu a parer mio si dimostra la più funzionale/meccanicamente "giusta" delle arti realistiche anche per via del fatto che è l'unica tramite la quale col gigantone -ma espertissimo stavolta- ci si può/deve allenare a pieno contatto senza prendere la via per il reparto traumatologico. 



Per chi lo pratichi e per chi si avvicina interessato, si sappia che il Jiu Jitsu dunque si avvicina molto all'arte marziale assoluta in termini di aderenza al nostro DNA, seppur coi suoi limiti contestuali che ho minuziosamente analizzato in passato (vedi archivio su sportivizzazione estrema della pratica, mancanza di allenamento ai colpi e alle armi bianche etc). Sono convinto che è anche per questo motivo che si trae così tanta soddisfazione emotiva dal lottare: esprimiamo una parte nascosta in profondità della nostra interiorità che attende solo di venir alla luce e sbocciare. Come dissi già, lottare necesse.


6 commenti:

Anonimo ha detto...

OK
Davide Biagiotti

Anonimo ha detto...

E vabbè il culturista non è un gigantone. Tira su i pesi ma la forza "bruta" vera è quella della struttura, della grandezza delle ossa. Un uomo di 80 kg che arrivi a pesarne 100 grazie ai pesi e gli steroidi non è minimamente forte come uno che ne pesi 100 grazie alla sua struttura massiccia.

Mario Puccioni ha detto...

Non diciamo stupidaggini.

Anonimo ha detto...

Una domanda per Mario Puccioni.
Qualche anno fa hanno ritrovato il girato originale completo del film di Bruce Lee Game of death. E' l'epilogo del film, una mezz’ora circa. E' anche la metafora della filosofia marziale del grande maestro. Una pagoda, e man mano che si sale avversari più forti. Quindi auto miglioramento, affrontare i propri demoni, innalzarsi fisicamente e spiritualmente, ma anche adottare uno stile flessibile e che sappia adeguarsi a quello dell'avversario. Gli ultimi avversari sono un maestro di nunchaku e un karateka , i suoi amici Dan Inosanto e Ji Han-Jae. Li batterà adeguandosi ai loro stili. In cima alla pagoda trova un uomo alto due metri e venti. E' Kareem Abdul-Jabbar, un giocatore di basket della NBA che studiava le arti marziali con Bruce Lee da una decina d'anni. Il mostro ha uno stile simile al suo, fluido e efficace, ma è alto e muscoloso il triplo. Sembra finita, ma il gigante è fotofobico e il Piccolo Drago spacca le finestre. Fuori dalla metafora, quando Bruce Lee vede la luce, che abbaglia il demone, fa l'unica cosa che poteva fare: prende quell'uomo enorme, lo trascina al suolo e lo strangola.
http://www.youtube.com/watch?v=Bv42V5bUpQw
Interessante no? Alla fine della ricerca c'è il jiu jitsu.
Che ne pensa?
Alessandro

Mario Puccioni ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Mario Puccioni ha detto...

Alessandro,

ti ringrazio per lo spunto. Sono decadi che non rivedo i film di Lee e la tua considerazione è in parte da me condivisibile, oltre che molto suggestiva.

Trovo i film di Bruce pregni di riferimenti e allusioni, alcuni anche inquietanti, ma a questo non avevo mai pensato.

Ciao e grazie per l'attenzione con cui segui il blog.