venerdì, febbraio 01, 2008

A COSA SERVONO LE ARTI MARZIALI?
Come voi vistatori abbonati a questo bloggaccio ben sapete, un diario-giornale online ha troppo il difetto di ripetere le stesse cose. Al di là della cronaca è ovvio infatti che a furia di parlare di uno stesso argomento le cose sian rifritte, rimpastate 100 volete e in fondo sempre uguali.
Ciò detto e presentateVi le mi scuse, mi accingo a ripetere per l'esima volta a cosa DOVREBBERO servire le AM. Subito prima però ripasso al volo a cosa VENGONO ADIBITE oggidì, e cioè a riempire portafogli di meschini imbroglioni e le serate spente di persone deboli in cerca del sostituo del Padre e della Chiesa archetipali nelle loro spente esistenze. In fondo per AM si spaccia qualuqnue porcata, le peggio sole del cosmo, è normale che i pochi seri ricercatori/allenatori si confandano in mezzo a cotanta rumenta.
Le Arti Marziali vere -rare dunque- servono oggi come oggi a 3 scopi egualmente importanti:
1) dare un fisico sano e robusto, esteticamente accettabile e decente come forza a attributi vari
2) far socializzare e creare nuove amicizie nell'ambiente informale e sano della palestra
3) insegnare a combattere e dare strumenti utili per Difesa Personale (posto dall'inizio che la DP in palestra non la si può apprendere per davvero)
Notare bene: un'arte per essere marziale DEVE insegnare a combattere,e quindi anche i primi due punti vanno visti in questo senso.
Si potrebbe dire che un'arte che voglia dirsi marziale deve come minimo insegnare a combattere; il suo ISO 9000 lo riceve solo se è basata su sparring non collaborativo con partner esperti + agonismo, l'ho ridetto un trilione di volte. In caso contrario, con tutta le eventuali buona volontà e fede dell'insegnante di turno, l'arte NON è marziale ma qualcos'altro. Il pericolo dell 'Setta di illuminati' è ben concreto, quello dell'inutilità ai fini del combattimento garantito.
Un uomo adulto dovrebbe abbandonare i miti infantili del Maestro Invincibile, dei colpi segreti, della scuola di Hokuto etc., e scegliere deliberatamente di misurare se stesso e i propri limiti al fine di trascenderli, divertendosi anche nel processo.
La palestra non è un asilo per bimboni quarantenni ma un sano luogo di addestramento e socialità, e se mancano queste caratteristiche la si fugga.
Là, sul ring o materassina, ci sono soltanto le nostre paure, ataviche o personali. Ogni volta che saliamo su quel quadrato incontriamo noi stessi, sempre e solo noi stessi. Ci conosciamo, ci vediamo per quel poco che siamo e la Victoria che conseguiamo è quella sui nostri limiti. Come dice sempre Federico chi lotta -per quanto campione sia- perde. Io chioso con le parole del M° Leo Vieira: "ringraziando Dio ho perso così tante volte", cioè perso tentando di vincere.
Mi ripeto, lo so, è un mio difetto ma...repetita adiuvant!

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