giovedì, marzo 03, 2011


MENTI APERTE


Riflettevo in questi giorni su una breve conversazione che ho avuto con Federico (Tisi) in merito a una disciplina estranea alle arti da combattimento. Nella sua difesa appassionata di questa metodica da lui analizzata, il Careca ne ha sottolineato un aspetto focale: è open source.

Riporto da Wikipedia:
"Open source (termine inglese che significa sorgente aperto) indica un software i cui autori (più precisamente i detentori dei diritti) ne permettono, anzi ne favoriscono il libero studio e l'apporto di modifiche da parte di altri programmatori indipendenti. Questo è realizzato mediante l'applicazione di apposite licenze d'uso.

La collaborazione di più parti (in genere libera e spontanea) permette al prodotto finale di raggiungere una complessità maggiore di quanto potrebbe ottenere un singolo gruppo di lavoro."


La questione secondo me s'attaglia perfettamente alle arti marziali.


Le arti fossili sono l'antitesi dell'open source. Essendo nate e sviluppatesi come sètte (dal Latino secta cioè separata, disconnessa) sono closed-source. Il maestrone galattico, esistito che sia o figura mitica, è quello che sapeva tutto lui, il perfetto e inarrivabile. La casta pretesca di esegeti che ne interpreta religiosamente il lascito poi naturalmente da questa figura iperuranica deriva un potere assoluto su cosa e come vada insegnato. La sètta marziale è bell' e pronta, un prodotto di mercato tagliato sulle incongruenze e debolezze psichiche di borghesi alla ricerca di sicurezze esterne a loro stessi. La verità alberga inossidabile in bocca agli Illuminati, e quanto più l'adepto si spersonalizza e cede la sua anima al gruppo, tanto più ha chances di salire i ranghi della élité di teologi dello stile che comanda il branco di infervorati.


Ma sono tutte così le arti di Marte?


No. Direi che quelle VERAMENTE marziali, cioè interessate al combattimento, sono invero open-source o tendenti a ciò. La vicenda del Jiu Jitsu brasiliano da me studiato è esemplare. Questa disciplina nacque dal meticciato che Mitsuyo Maeda fece del Judo, del Fusen Jiu Jitsu insegnato al Kodokan come Judo Ne waza e del Catch Wrestling incontrato per strada. Il Conte Koma si poneva come fighter professionista, non come innovatore mediatico, e si sa che i combattenti pro non hanno tempo da perdere con gli assoluti categorici, dunque si preoccupava soprattutto dell'efficacia più che delle riverenze a figure archetipiche.


Dal lottatore nipponico il codice-sorgente si allargò alla bellicosa famiglia Gracie, ricca di talenti e teste calde. Mentre in altri sistemi il "successore" del mega-maestrone fondatore lo si sceglieva in base a chi avesse più volte mangiato la merenda col Supremo, i Gracie si menavano con tutti e diffondevano questa mentalità ovunque in Brasile. Siccome nel Jiu Jitsu conta solo quello che funziona, anche figure riverite quali Carlos ed Helio non possono prevalere su forze anonime quali quella di gravità, la vera mamma dell'arte suave. Fatto sta che nel giro di 2 generazioni il morbo infettivo del BJJ si è espanso a 5 continenti, e rimane un'arte geneticamente open-source. Maestri, maestrini e maestroni fioriscono un po' ovunque, bravi e meno bravi, ma per quanta rilevanza abbiano lì per lì non ce n'è uno - e MAI ci sarà- un proprietario del software.


Migliaia di tornei, scontri nelle gabbie e semplici lotte di palestra ogni giorno fanno girare il programma, e milioni di menti contribuiscono secondo la definizione wikipediana a un lento, seppur non rettilineo, progresso del prodotto. L'armlock 'assoluto' non è contemplato, si osserva e si replica quello che funziona meglio, e se non c'è la tecnica perfetta vuol dire che una ancora migliore è possibile. La sconfinata, illimitata, capacità creatrice della mente umana è al lavoro, nel Jiu Jitsu e nelle altre arti funzionali quindi open. Per citare un esempio: un mio conoscente mi ha raccontato di un seminario USA di Royce Gracie ai momenti del suo massimo apice di fama. Capitò che a questo evento partecipasse un istruttore di un'arte fossile, del tutto incapace a lottare; per quanto Royce lo annodasse come uno spaghetto e si potesse fare beffe del povero fossiluomo, il buon tradizionaloide mostrò al brasiliano -definito da molti uno spocchioso figlio di spocchiosi- una posizione della mano a difesa del bavero che Royce non conosceva e che considerò geniale. Il fantacampione prese lo sconosciuto e fece in modo che girando con lui la sala insegnasse a tutti i partecipanti la sua tecnica!


Io ho un insegnante che stimo e che rispetto, ma come lui sono costantemente alla ricerca di fonti tecniche per migliorare il mio gioco. Seminari, raduni, gare ma anche video e libri, chiacchierate con colleghi e pure piccole malizie osservate nel randori di bimbi e cinture bianche: tutto contribuisce alla riflessione e al ripensamento del mio software, in costante interconnessione col pianeta insomma. C'è da dire che se non provassi ininterrottamente le ispirazioni e novità con vere lotte, perdendo spesso, tutto quanto suddetto resterebbe a livello di onansimo mentale o tutt'al più bieco collezionismo tecnico. Invece a me il Jiu Jitsu m'ha insegnato il piacere di non sentirsi mai appagati, mai perfettamente edotti, fallibili e sempre pronti a perdere anche col primo venuto. Nel Jiu Jitsu l'insegnante lotta coi suoi allievi, e perciò a volte perde. Questo ci consente di rimanere coi piedi per terra e di evitare anche derive in buona fede, perché quando si esce dal proprio spazietto palestricolo e si va ai tornei di livello le farfalle mentali si dissolvono e si ripiomba, grazie a Zeus, subito sul pavimento. Questa attitudine così aperta produce anche un curioso fenomeno di turismo jitsuisitico, in quanto è di moda portarsi il kimono in vacanza e andare per accademie forestiere a scoprire esotici modi di praticare la nostra arte. Nella terra originaria dello stile, in Brasile, mi pestarono per benino ma mi sono fatto tanti amici e conquistato un pochino di rispetto per il nostro Italian Jiu Jitsu, senza che alcuno si ergesse a "erede della sacra scuola di Hokuto" anzi, erano tutti pronti a rubare con lo sguardo qualunque strana trovata che il gringo avesse estratto dal cilindro (seppur certo non era il mio caso).


In casa mia si cita il proverbio: "Chi si assomiglia si piglia" e pertanto trovo del tutto naturale che sui nostri tatami sia del tutto inconcepibile dare un gran spago a personaggi laiducci e scivolosi, dediti alla piaggeria e poco alla pratica lottatoria. Si fa rispettare solo chi lotta bene, chi insegna bene, chi combatte bene, in base cioè ai risultati pratici, veri. Un pronipote di Helio Gracie per noi può essere una curiosità magari, ma certo se sul tappeto si muove come un ippopotamo ubriaco non se lo filerà nessuno.



6 commenti:

Andrea ha detto...

Ciao Mario,
approfitto di questo tuo ultimo post per farti i complimenti in merito al tuo blog, che insieme a quello di Andrea Baggio mi stanno facendo appassionare al BJJ (anche se pratico altro).

Personalmente ho momenti di puro godimento quando accosti il tuo pensiero marziale all' Epos ed alla spiritualità dei nostri Avi.
Complimenti, continua così.

Andrea.

Mario Puccioni ha detto...

Grazie Andrea per il supporto. Che disciplina pratichi e dove?
Saluti

Andrea ha detto...

Faccio Pugilato (a livello dilettantistico :) ) a Milano: SGM Forza e Coraggio.

Andrea ha detto...

Ho notato solo ora che in passato hai citato un Uomo che stimo moltissimo, pertanto di faccio presente questa citazione che credo ti faccia piacere:

"Costantemente mantenersi presenti dentro la propria pelle, esercitarsi, avere una condotta particolare, disprezzare il facile comodo, disprezzare l’inutile lusso, essere uomini raffinati, ma essere uomini fermi. Mantenere la fedeltà della parola. E nel fisico esercitarci a combattere."

Pio Filippani Ronconi

Anonimo ha detto...

Considerazioni di indubbio interesse queste.
"Open source" addirittura, Renato si rigirerà nella tomba.
I "tradizionalismi" antiquari fondati su una teurgia eggregorica a quanto pare non funzionano granchè nell'ottagono.
Per la verità mi sembra che funzionino male un po' in tutti gli ambiti.

Vale.

Carpa

Mario Puccioni ha detto...

Andrea,
ti ringrazio della citazione, è una delle mie preferite del Maestro.

Grande Carpa,
chi sarebbe Renato? Sul resto ti dò ragione. Vale optime.