lunedì, marzo 28, 2011


TORINO JIU JITSU CHALLENGE 2011
REPORT


Ne ho scritti tanti di questi reportage delle gare, e come me anche su tanti blog di partito se ne leggono a josa.

Come ben sapete un blog oltre che mezzo d'informazione funziona, se di roba amatoriale stiamo parlando, soprattutto a livello di valvola di scarico emozionale di tipo individuale. Insomma, si scrive per amore e per dolore, citando i cantautori.

In passato ho seguito un refrain comune, che poi ha avuto un ampio successo ed è stato adottato un po' da tutti, e cioè un elenco dei ragazzi con tanto di soprannome, analisi delle lotte e valutazione uber alles. In questo momento però il mio esempio è divenuto troppo diffuso e m'è venuto a noia, spero mi capirete. Mi duole molto non citare i miei prodi centuriati, tutti meritevoli di ampia lode nessuno escluso, e anche di un po' di gloria seppur minuta, però oramai tutti i bloggheristi "maripuccioneeggiano" e io voglio correre avanti.

Partirò dalla fine della storia.

Sono rientrato a casina alle 02:00 del mattino e mi sono buttato sul pavimento di salotto, che dopo 10h. di auto e 10 di palazzetto avevo la vecchia schiena disintegrata. Nel silenzio condominiale della notte, mentre cercavo disperato di allungare i paravetrebrali con lo stretching mi sono accorto di essere mezzo morto. Dalla mattina alle 04.00 quando m'era sonata la sveglia a quelle posture di Hata Yoga sembravano passati giorni interi, non 22 ore, tali e tante le emozioni magmatiche eran passate in un giorno di ordinario Jiu Jitsu.

Andare alle competizioni è un "frullato" di saluti, pacche sulle spalle, urla e incazzature, salti di gioia, panini rancidi e discussioni con lo staff, risate e battute, armlock e fantasia. E' VITA allo stato puro, è passione e fatica.

Con il multifido arrosto (è un muscolo della bassa schiena, non pensate male..) rimuginavo sulla enorme, troppa fortuna che in poco tempo sta arridendo al nostro sport. 400 iscritti alla gara organizzata dagli amici torinesi sono una massa gigantesca che ci sta sommergendo. Gare da 12 ore secche sono interminabili e ci toccherà cambiare passo, prendere i palazzetti grossi e allestire almeno 5 tatami, non so come ma è necessario.
Il successo ci sta sommergendo, e -seppur con una logistica perfetta quale quella della capitale piemontese- va incanalato in boccaporti più larghi.

Tutti i miei giovanotti e la dolce Valentina hanno lottato con onore, tutti hanno dimostrato miglioramenti sensibili e qualcuno ha pure stupito nel suo piccolo. Un argento e un bronzo non sono un raccolto esaltante, non starò a girarci intorno, e se non abbiamo mietuto di più la colpa ovviamente è soltanto mia: il generale si assume l'onere della sconfitta, se di sconfitta si può parlare. A parziale discolpa di mancate vittorie porrò soltanto le numerose assenze dell'ultimo minuto e l'incremento impetuoso del livello tecnico generale, che cada anno come minimo raddoppia.

Sdraiato a ore piccole, continuavo a pensare. Tutto il mio (poco) tempo libero, tutte le energie sopravviventi al duro lavoro io le dedico al team, insegnando spesso gratis, anche nel fine settimana. Voglio in futuro di riuscire a fare meglio, ve lo prometto. Per il momento diamo il massimo, tutti insieme, e il ringraziamento va ai miei maestri, ai colleghi istruttori e soprattutto ai miei allievi. Il Jiu Jitsu italiano è un fiume in piena che cresce a vista d'occhio e il Centurion ne è parte integrante e importante sin dal principio.

Siamo in marcia, anche con la schiena corcata.

lunedì, marzo 21, 2011


IL RE DELLE MMA
E COSA POSSIAMO IMPARARE DA LUI



Ecco un altro post su Mr. Greg Jackson.

Il signore in questione è famoso per essere da tempo il migliore (leggi: il più vincente) coach di MMA del globo, ma adesso la sua dominanza sta arrivando a essere imbarazzante. Il suo pupillo Jon Jones ha appena disintegrato l'arcicampione Shogun Rua all'UFC 128 e subito la lega ha obbligato un altro atleta della Jackson's MMA a sfidare il 23enne Jones per il titolo, Rashad Evans.

La categoria più difficile e competitiva al mondo, i Massimi Leggeri, viene dibattuta tra due amici e compagni di allenamento in un superderby che non ha precedenti nella storia dello sport delle botte dentro la gabbia.

Non ha certo bisogno di ulteriori complimenti e apprezzamenti professionali da nessuno, il sor Greg, e quindi bypasso questo punto per andare al sodo: come ..zzo fa a vincere tutto lui?

Premesso che non lo conosco di persona e che baso le mie analisi su quanto disponibile in giro sul web, azzardo un'interpretazione 'a cazzotto' della incredibile ascesa di Greg. Ho l'impressione che fortunato coach abbia applicato una mentalità del tutto professionale nella gestione della sua attività di allenatore, una cosa che -nonostante ciò che i fans possono pensare- latita parecchio nell'ambiente delle legnate nel muso. Ex atleti passati all'insegnamento che si trascinano dietro tutti i vizi di una totale assenza di didattica, imprenditori senza basi nello sport, volenterosi gigioni più interessati a promuovere se stessi che i loro fighters, e tutta una serie di amenità del genere ammorbano il mondo degli SdC, facendoli spesso assomigliare al triste circus descritto nel film The Wrestler. Sentendo parlare Greg invece, e leggendo ciò che in giro si scrive sui suoi metodi, si ha l'impressione di un uomo posato, che non si svende e che si dedica intensamente allo studio dell'argomento, accettando solo atleti con serie intenzioni e rifiutando di darsi via in maniera esagerata.

Un oscuro praticante con all'attivo un bello zero nell'agonismo, Greg ha saputo trasformare la sua palestra in Arizona nella mecca delle MMA e continua a crescere d'importanza agli occhi dei professionisti, tanto che sospetto non abbia più spazio per nuovi arrivi. La tenace ricerca della qualità unità a classico senso yankee per gli affari gli sta dando il gas per lasciare indietro altri raggruppamenti partiti con migliori auspici ma gestiti molto peggio. La vicenda di questo allenatore è l'ennesima conferma: contano solo i risultati sul campo, le medaglie o i diplomi seppur guadagnati con gloria dal maestro di per sé NON garantiscono un serio inquadramento agonistico all'aspirante, anzi.

Io come certamente molti di voi ho conosciuto dei fortissimi picchiatori da ring che erano degli analfabeti assoluti o delle primedonne viziate, e queste caratteristiche li avrebbero resi inadatti ad allenare altri, senza nulla togliere all'abilità pratica. Una forte fibra morale poi, il mettere sempre le esigenze professionali prima del guadagno momentaneo (cosa sconosciuta o quasi in colonia italy) ha reso Greg un faro nel settore, il vero Re delle Mixed Martial Arts agli occhi di chi ci capisce.

Come un sagace agricoltore, Jackson ha saputo pazientare e aspettare che i semi tecnico-commerciali fiorissero, e ora si gode il raccolto. Ha raggiunto una predominanza senza precedenti, vediamo se saprà mantenersela.

giovedì, marzo 17, 2011


LEZIONE CON LEONARDO XAVIER
REPORT


Martedì scorso il Centurion ha ospitato per una lezione serale il M° Leonardo Xavier, carioca cintura nera III dan di Royler Gracie.

Il maestro era in visita privata a Firenze e tramite un conoscente ha avuto l'opportunità di entrare in contatto con la noi centuriati, mercé l'interessamento del nostro Taba Braccini.

Un ex agonista di alto livello, il compatto brasileiro è ora un tecnico professionista che ha sviluppato una sua scuola in Texas. E' stato piacevole conoscere il suo approccio all'arte suave e imparare un po' del suo metodo.

Molta enfasi sui drill per la mobilità del bacino e un saggio della guardia seduta scuola Gracie Humaità. In particolare è stata 'chirurgicamente' spiegata la disposizione dei segmenti corporali al fine di creare struttura, e nella guardia e nelle altre posizioni. Accattivante l'approccio didattico del professor, molto curato nella ricerca dell'attenzione da parte dell'uditorio e nel continuo feedback degli astanti.

Per quanto forzosamente breve, è piaciuta ai convenuti -tra i quali alcuni judoka fiorentini- la parte delle domande&risposte nel finale, durante la quale sono stati raccontati aneddoti su Rickson, la famiglia Gracie e illustrati momenti storici del BJJ.

Salutiamo il simpatico Leo e ci prepariamo allo stage primaverile con Federico: sabato 9 aprile a Pontassieve è di scena il mestre Careca.

giovedì, marzo 10, 2011


LASCIATE CHE I BIMBI VENGANO A NOI



Spesso torno agli insegnamenti della mia fonte tecnica più importante tra gli esterni, il M° Luis Carlos Valois.

Il magistrato amazzonico prestato al Jiu-Jitsu - o forse sarebbe meglio dire il contrario- alla sua visita in colonia italy si fece beffe di chi si lagnava di non avere la superaccademia piena di campioni e quindi di non poter ben progredire nello studio dell'arte suave perché mancante di sparring partner di valore e simili. Raccontò che quando fece l'apprendistato in magistratura, fu, ahilui, destinato in un nonluogo della foresta, una prefettura dimenticata da Dio in mezzo agli indigeni. Scacciato quindi che fu dalle ambizioni di carriera fuori dalla poderosa Academia Carlson Gracie di Copacabana, si ritrovò in una landa in cui il nome Jiu Jitsu era sconosciuto insieme all'acqua per lavarsi.

Il giovane Valois però non si perse d'animo e creò una squadretta di lottatorini in erba, insegnando ai frugoli scalzignudi del villaggio, allestito che ebbe un "tatami" su di una mezza banchina fluviale. Oh, non ci si crederà ma l' "allenamento" che produsse tutto ciò lo condusse a vincere il campionato brasilerio di quell'anno. Com'è possibile, diranno i nostri lettori? Esattamente la stessa cosa che chiesero i viziati italiucci sbigottiti accorsi al seminario romano del mestre.

Il maestro scrollò le spalle, e disse che non aveva mai imparato più che durante quella corvee di stecca nel paesucolo. Osservando i bambini, ci puntualizzò, aveva scoperto movimenti e 'tecniche' che loro inventavano dal niente. Certo Valois non è un tizio qualunque, si parla d'una durissima cintura nera di Carlson capace di farsi rompere il braccio da Renzo Gracie pur di vincere il titolo, e fin qui ok. Nella sua storia però c'è una verità profonda. Il Jiu Jitsu è fondamentalmente un'arte con pochissimi assoluti dogmatici, e per impararlo davvero bene bisogna ritornare bimbi, dentro. Si deve provare l'entusiasmo infantile per questo stupendo gioco e rilasciare la maschera da uomo assennato per godere lussuriosamente senza freni inibitori della orgasmatica frenesia del lottare ludicamente con un'altra persona.

Quando siamo ancora imberbi proviamo poca supponenza di noi stessi, siamo dotati di una mente plasmabile e lasciamo fluire la creatività. Se messi nelle condizioni ideali di manifestare noi stessi il genio appare. Visto che voi sapete perfettamente che il Jiu Jitsu è una modalità espressiva naturale, ricalcata proprio sul modo morbido e ruzzolante di muoversi dei bambini piccoli, e quindi consente una delle massime espressioni motorie della razza umana. Non ci sorprenderà quindi che un talento del Jiu Jitsu quale Valois era, ebbe tutta una serie di incredibili intuizioni davanti ai suoi sagaci occhi allenando gli indios minorenni.

Questo però non spiega la vittoria agonistica, e contro i mostri carioca.

Io mi sono dato una spiegazione, seppur del tutto diversa da quella che lo stesso Carlos dette (le innovazioni etc.).
Credo che nella sua 'missione civilizzatrice' di maestro jitsuka il buon professor abbia espresso un Jiu Jitsu puro e cristallino quanto mai prima nella sua vita. Il buon Valois, sincero amante della lotta e dell'insegnamento, ebbe forse (e ridico forse) in quelle disagiatissime condizioni la possibilità di incontrare un infantile entusiasmo, limpido e sconfinato come i cieli dell'Amazzonia. Cosa mai avrebbe potuto trascinare alle somme vette dell'arte quell'uomo, abituato alla miglior accademia del mondo se non un vorticoso flusso di energia? Era la gioia e lo stupore dei bimbi per l'amata disciplina a muoverlo come un tornado, a fargli profondere il suo miglior Jiu Jitsu,e la cosa gli ha ben giovato.

Nel bambino c'è il futuro, letteralmente.

Tocca a noi tecnici risolverci a capirlo. Senza i bambini il futuro non esiste, neanche nel BJJ. Lo sviluppo dei corsi per i piccoli è di primaria importanza, e non solo per creare un base solida di praticanti. Il lascito meraviglioso, vorrei dire divino, che la nostra disciplina può consegnare agli esseri umani va diffuso nella maniera più proficua, e cioè passandolo a coloro che meglio lo possono recepire, i nostri under14.

Il mio carattere sognatore mi porta a immaginare un'Italia dove la sudditanza alle potenze occupanti sia finita e i costumi siano mondati da quelle forme assassine di distruzione della volontà degli individui a loro imposte (tipo la malattia del Calcio), una nazione in cui lottare sia materia obbligatoria a scuola e nella quale -al posto di schiere di calciat-tori- i nobili lottatori primeggino nell'ammirazione delle folle.





giovedì, marzo 03, 2011


MENTI APERTE


Riflettevo in questi giorni su una breve conversazione che ho avuto con Federico (Tisi) in merito a una disciplina estranea alle arti da combattimento. Nella sua difesa appassionata di questa metodica da lui analizzata, il Careca ne ha sottolineato un aspetto focale: è open source.

Riporto da Wikipedia:
"Open source (termine inglese che significa sorgente aperto) indica un software i cui autori (più precisamente i detentori dei diritti) ne permettono, anzi ne favoriscono il libero studio e l'apporto di modifiche da parte di altri programmatori indipendenti. Questo è realizzato mediante l'applicazione di apposite licenze d'uso.

La collaborazione di più parti (in genere libera e spontanea) permette al prodotto finale di raggiungere una complessità maggiore di quanto potrebbe ottenere un singolo gruppo di lavoro."


La questione secondo me s'attaglia perfettamente alle arti marziali.


Le arti fossili sono l'antitesi dell'open source. Essendo nate e sviluppatesi come sètte (dal Latino secta cioè separata, disconnessa) sono closed-source. Il maestrone galattico, esistito che sia o figura mitica, è quello che sapeva tutto lui, il perfetto e inarrivabile. La casta pretesca di esegeti che ne interpreta religiosamente il lascito poi naturalmente da questa figura iperuranica deriva un potere assoluto su cosa e come vada insegnato. La sètta marziale è bell' e pronta, un prodotto di mercato tagliato sulle incongruenze e debolezze psichiche di borghesi alla ricerca di sicurezze esterne a loro stessi. La verità alberga inossidabile in bocca agli Illuminati, e quanto più l'adepto si spersonalizza e cede la sua anima al gruppo, tanto più ha chances di salire i ranghi della élité di teologi dello stile che comanda il branco di infervorati.


Ma sono tutte così le arti di Marte?


No. Direi che quelle VERAMENTE marziali, cioè interessate al combattimento, sono invero open-source o tendenti a ciò. La vicenda del Jiu Jitsu brasiliano da me studiato è esemplare. Questa disciplina nacque dal meticciato che Mitsuyo Maeda fece del Judo, del Fusen Jiu Jitsu insegnato al Kodokan come Judo Ne waza e del Catch Wrestling incontrato per strada. Il Conte Koma si poneva come fighter professionista, non come innovatore mediatico, e si sa che i combattenti pro non hanno tempo da perdere con gli assoluti categorici, dunque si preoccupava soprattutto dell'efficacia più che delle riverenze a figure archetipiche.


Dal lottatore nipponico il codice-sorgente si allargò alla bellicosa famiglia Gracie, ricca di talenti e teste calde. Mentre in altri sistemi il "successore" del mega-maestrone fondatore lo si sceglieva in base a chi avesse più volte mangiato la merenda col Supremo, i Gracie si menavano con tutti e diffondevano questa mentalità ovunque in Brasile. Siccome nel Jiu Jitsu conta solo quello che funziona, anche figure riverite quali Carlos ed Helio non possono prevalere su forze anonime quali quella di gravità, la vera mamma dell'arte suave. Fatto sta che nel giro di 2 generazioni il morbo infettivo del BJJ si è espanso a 5 continenti, e rimane un'arte geneticamente open-source. Maestri, maestrini e maestroni fioriscono un po' ovunque, bravi e meno bravi, ma per quanta rilevanza abbiano lì per lì non ce n'è uno - e MAI ci sarà- un proprietario del software.


Migliaia di tornei, scontri nelle gabbie e semplici lotte di palestra ogni giorno fanno girare il programma, e milioni di menti contribuiscono secondo la definizione wikipediana a un lento, seppur non rettilineo, progresso del prodotto. L'armlock 'assoluto' non è contemplato, si osserva e si replica quello che funziona meglio, e se non c'è la tecnica perfetta vuol dire che una ancora migliore è possibile. La sconfinata, illimitata, capacità creatrice della mente umana è al lavoro, nel Jiu Jitsu e nelle altre arti funzionali quindi open. Per citare un esempio: un mio conoscente mi ha raccontato di un seminario USA di Royce Gracie ai momenti del suo massimo apice di fama. Capitò che a questo evento partecipasse un istruttore di un'arte fossile, del tutto incapace a lottare; per quanto Royce lo annodasse come uno spaghetto e si potesse fare beffe del povero fossiluomo, il buon tradizionaloide mostrò al brasiliano -definito da molti uno spocchioso figlio di spocchiosi- una posizione della mano a difesa del bavero che Royce non conosceva e che considerò geniale. Il fantacampione prese lo sconosciuto e fece in modo che girando con lui la sala insegnasse a tutti i partecipanti la sua tecnica!


Io ho un insegnante che stimo e che rispetto, ma come lui sono costantemente alla ricerca di fonti tecniche per migliorare il mio gioco. Seminari, raduni, gare ma anche video e libri, chiacchierate con colleghi e pure piccole malizie osservate nel randori di bimbi e cinture bianche: tutto contribuisce alla riflessione e al ripensamento del mio software, in costante interconnessione col pianeta insomma. C'è da dire che se non provassi ininterrottamente le ispirazioni e novità con vere lotte, perdendo spesso, tutto quanto suddetto resterebbe a livello di onansimo mentale o tutt'al più bieco collezionismo tecnico. Invece a me il Jiu Jitsu m'ha insegnato il piacere di non sentirsi mai appagati, mai perfettamente edotti, fallibili e sempre pronti a perdere anche col primo venuto. Nel Jiu Jitsu l'insegnante lotta coi suoi allievi, e perciò a volte perde. Questo ci consente di rimanere coi piedi per terra e di evitare anche derive in buona fede, perché quando si esce dal proprio spazietto palestricolo e si va ai tornei di livello le farfalle mentali si dissolvono e si ripiomba, grazie a Zeus, subito sul pavimento. Questa attitudine così aperta produce anche un curioso fenomeno di turismo jitsuisitico, in quanto è di moda portarsi il kimono in vacanza e andare per accademie forestiere a scoprire esotici modi di praticare la nostra arte. Nella terra originaria dello stile, in Brasile, mi pestarono per benino ma mi sono fatto tanti amici e conquistato un pochino di rispetto per il nostro Italian Jiu Jitsu, senza che alcuno si ergesse a "erede della sacra scuola di Hokuto" anzi, erano tutti pronti a rubare con lo sguardo qualunque strana trovata che il gringo avesse estratto dal cilindro (seppur certo non era il mio caso).


In casa mia si cita il proverbio: "Chi si assomiglia si piglia" e pertanto trovo del tutto naturale che sui nostri tatami sia del tutto inconcepibile dare un gran spago a personaggi laiducci e scivolosi, dediti alla piaggeria e poco alla pratica lottatoria. Si fa rispettare solo chi lotta bene, chi insegna bene, chi combatte bene, in base cioè ai risultati pratici, veri. Un pronipote di Helio Gracie per noi può essere una curiosità magari, ma certo se sul tappeto si muove come un ippopotamo ubriaco non se lo filerà nessuno.