IL CONCETTO DI MIXED MARTIAL ARTS o COMBATTIMENTO TOTALE
In lingua inglese, con il termine ‘arti marziali miste’ si va a identificare non tanto uno stile o un insieme di stili, quanto una mentalità.
Per spiegare l’origine di questa nuova visione delle arti da combattimento si deve montare sulla macchina del tempo e scendere a Olimpia sette secoli prima di Cristo.Nello stadio che accoglieva i sacri agoni noi temponauti vediamo insieme all’Atletica e alla Lotta anche il Pugilato e una gara di combattimento dove i due atleti si affrontano praticamente senza esclusione di colpi (se si escludono morsi e ditate negli occhi): il Pancrazio.Questa era considerata la specialità più dure dei Giochi e consisteva nell’unione di tutti i tipi di percussioni e azioni di Lotta. Millenni di sperimentazione, diffusa dall’Impero Romano su tutto il bacino del Mediterraneo, portarono i contemporanei a considerare questa arte come oramai matura, stabilizzata. Dunque, nella ‘genetica’ del combattente occidentale è sepolta questa concezione ultracompleta del combattimento, in un vorticoso alternarsi di prese, pugni, leve e colpi d’ogni genere, l’arte marziale globale. Ora, per i nostri antenati era ovvio considerare il Pancrazio come l’arte regina, inseparabile dalle sue componenti specialistiche: Pugilatus, Pigmakìa (o arte del percuotere con ogni estremità), Orthepale (arte del proiettare) e Pale (lotta di sottomissione). La specializzazione e la sintesi viaggiavano su binari distinti ma comunicanti, e le arti di Marte fiorirono.
Migliaia di anni dopo, e cioè negli anni ’90 del 1900, il bisogno degli appassionati di scoprire se le molte e diverse arti marziali orientali e occidentali diffuse in Occidente avessero un senso, portò degli imprenditori USA a lanciare una formula di torneo a inviti dove mettere davanti l’uno all’altro i vari stilisti, con minime limitazioni. La super-specializzazione dei vari metodi incuriosiva i marzialisti e tutti si chiedevano quale tra tanti sistemi fosse il più efficace. La moda delle arti marziali era scoppiata da noi a meta degli anni ’70, portando alla ribalta le arti orientali e relegando al ruolo di semplici sport il Pugilato e la Lotta, scevri d’un certo misticismo e scopi educativi che si presumeva le scuole dell’area cino-giapponese conservassero.
Le arti orientali, dense di tecniche spettacolari di calcio, venivano accreditate della massima possibilità di successo ma il risultato fu ben diverso. Si capì sin dall’inizio che i cosiddetti grapplers, cioè lottatori in grado di far perdere l’avversario per abbandono, avevano partita facile e in particolare stordente fu il successo del Brazilian Jiu-Jitsu. Lottare al suolo, una tattica quasi dimenticata, risultava l’arma in più, quella determinante.
Ciò che seguì fu un decennio di evoluzione nelle arti marziali, e come tanto tempo prima a Olimpia, i combattenti più forti apparvero essere quelli che si erano dati a unire la preparazione nelle percussioni a quella delle arti lottatorie. Match dopo match, torneo dopo torneo, gli allenatori più occhiuti si resero conto che l’anatomia umana non era poi così distante da quella degli antichi greci e che quindi certe costanti si ripresentavano, c’era bisogno insomma della sintesi (combattimento senza quasi regole) da comporre tramite le singole parti. Insomma, nessuna arte può ritenersi autosufficiente, visto che l’atleta vincente ha bisogno sia del metodo completo che delle sue parti specialistiche lavorate in autonomia.L’epicentro di questa rivoluzione è il Brasile, paese di combattenti eclettici e di gente pratica, che ha saputo rompere vetrificazioni stilistiche deleterie in virtù della sperimentazione sul campo: meno chiacchiere (e cinture, gradi, titoli etc.) e più botte!
Lo stadio attuale del panorama marziale vede contrapposti i conservatori, attaccati alle differenze esteriori, e i modernizzatori che in realtà dovremmo chiamare reazionari, tanto indietro nel tempo affonda la radice del loro modo di allenare i propri pupilli. Il concetto di ‘mixed’ infatti non deve trarre in inganno. Non si tratta per nulla di fare un minestrone maleodorante dei più diversi stili ma al contrario scremare ciò che è inutile senza sentimentalismi e ricercare la verità senza far affidamento a denominazioni e schemi preconcetti, stando cioè con le orecchie bene aperte e il pensiero sereno. La minima dimensione regolamentare fa sì infatti che il moderno Vale Tudo rappresenti nella pratica quanto di più simile esista allo scontro reale uno a uno, dunque lascia aperte le porte alla sperimentazione di qualunque tecnica o stile, evitando così un registro troppo stringente e lasciando capacità d’espressione a uomini d’ogni taglia e provenienza culturale. Apporti benèfici possono avvenire dalle discipline più strane e questo fa sì che nel concetto di ‘mixed’ vada a entrare anche quello di ‘open mind’ perché la verità assoluta non può essere posseduta da nessun singolo metodo.
Il Vale Tudo (cioè: vale tutto in portoghese) è al giorno d’oggi divenuto uno sport, molti miti sono stati infranti e le centinaia d’incontri che si svolgono in tutto il mondo hanno portato a considerare valide le stesse metodiche settoriali di Olimpia. I moderni free fighters debbono infatti creare la loro capacità operativa nell’evento di combattimento globale (come lo era il Pancrazio) tramite 4 differenti arti specializzate, esattamente come allora, e cioè: Pugilato (arti superiori), Muay Thai (percussioni con calci, ginocchia etc.), Lotta Libera (proiezioni), Brazilian Jiu-Jistu (lotta al suolo). E’ chiaro che il Pancrazio ebbe millenni per svilupparsi e che invece il Vale Tudo, nato in una società completamente diversa, è solo un fenomeno recente e in evoluzione, ma le esigenze sono le medesime perciò non resta che godersi lo spettacolo e praticare.