martedì, ottobre 10, 2006


AGONISMO E REALTA' DELLA STRADA

Chi si interessa di arti marziali/sport da combattimento sa quanto l'annosa questione del realismo stradaiolo trovi indefessi avversari dell'agonismo tra i cosiddetti 'tradizionalisti'. In siffatti personaggi perdura il mito del killer del Kung Fu, del guerriero-ombra con la panzetta ma che messo alle strette divelle un cartello stradale e ammazza dieci malavitosi, del signore impiegato in banca che con la sua tecnica 'segreta' annichilisce il campione mondiale dello SDC di turno.

Signori&signore, dopo 20 anni di arti marziali, anni in cui ho studiato furiosamente ( e molto dispendiosamente) tutti i sistemi più famosi ed altri esoterici, sono qui a darvi la notizia che.. sono tutte minchiate galattiche!
La convinzione fumosa e illogica che chi si allena piano -cioè senza sparring pesante contro avversari non-collaborativi ed esperti- 2 ore alla settimana possa battere (mediamente) chi si allena otto ore al die è, oltre che sciocca, vergognosa. Ritorniamo ai soliti discorsi sulle paranoie borgehsi, sulle illusioni che sti poveretti si autopropinano etc.
Ciò detto, mi sembra opportuno spiegare nel dettaglio perché l'agonismo sia così importante nell'evoluzione delle arti marziali vere e come vada interpretato.

Agonismo viene dal greco Agòn e guarda caso è la stessa radice della parola italiana agonìa. Nella concezione stessa della gara vi è la morte di sé, cioè delle paure quotidiane, che l'atleta esegue. In pratica combattere è bruciare al fuoco psichico della competizione le resistenze interiori allo sviluppo della propria consapevolezza. Nelle vene degli occidentali scorre da sempre il DNA del combattimento realistico, e le discipline che non lo prevedono (cd. Tradizionali o alla Karate Kid) sono da considerarsi del tutto risibili. In loro infatti manca del tutto la Tradizione, cioè il tramandare una tecnica davvero efficace ( e non ineventata a' capekazz) e lo spirito di Marte, sono cioè in realtà anti-tradizionali. L'agòn è il bellum del tempo di pace, stop.

L'agonismo per un gruppo di combattenti (scuola, metodo o klan che dir si voglia) in tempo di pace è l'unico mezzo per avvicinarsi allo scontro reale il più possibile. E' dunque il massimo ottenibile, e visto che la realtà della strada non è riproducibile in palestra (chi dice che vi insegna “difesa personale” vi sta pigliando per il culo) quanto di più reale ci possa essere. E' ovvio che ci possono ben vero essere persone a cui l'agonismo è precluso o sconsigliato (anziani, malati, avventizi etc.) ma ciò non ne inficia minimamente l'importanza in senso generale.Anche un interpalestra, un interclub stracittadino mettono la persona davanti all'obbiettivo di dover combattere seppur in piccolissimo, lo obbligano a scendere in campo per la sua (mini) guerra personale e questo è impagabile, irrinunciabile. La gara è il bersaglio, non il fine a se stante, perché essa serve unicamente come test delle proprie capacità duramente conquistate in allenamento.

La materassina attorniata dalla gente (paura di fare brutta figura), l'avversario che ci squadra torvi (paura del contatto con uno sconosciuto), il pensiero di chi ci aspetta a casa (paura di deludere le altrui aspettative) e il pensiero fisso al dolore fisico che ci verrà somministrato, insieme alla paura di vincere sono le principali forme di timore che l'atleta incontra sul quadrato. E come lui tutti quelli che come lui si mettono in gioco. In questo modo lo sport procede, recuperando realsimo a ogni singolo incontro ed evitando di accumulare storture mentacattistiche dovute al contesto anestetizzato del balletto da palestra. In questo modo l'arte scioglie i blocchi emotivi del praticante e lo aiuta a crescere seriamente come essere umano, lo sprona a trovare fiducia in se stesso e a realizzare al massimo il proprio potenziale.

Nessun agonismo uguale nessun realismo, prima o poi, e indipendentemente dalle buone intenzioni dell'insegnante di turno.

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