IL JIU JITSU COME TERAPIA
“La novità, la scoperta é che, quando non potete né farvi piacere, né fuggire, né LOTTARE, vi inibite. Il significato biologico dell’inibizione é: meglio non agire, per non essere distrutti dall’aggressione. Ciò va bene se serve a salvare al momento la vostra pelle, la vostra struttura. Ma se non siete in grado di sottrarvi molto rapidamente, da questo stato di inibizione, di attesa in tensione, allora in quel momento comincia tutta la patologia”.
(H. Laborit, 1970).
Questo post nasce da un'affermazione che ho fatto in uno degli ultimi post, ma anche in passato: il Jiu Jitsu salva le persone.
A più riprese ho parlato della funzione del Jiu Jitsu come arte tradizionale integrale per l'evoluzione della persona e suo miglioramento a 360°, una Via che contiene molti aspetti diversi, uno tra i molti è quello sportivo. Il serio e consapevole applicare di quest'arte richiede ovviamente insegnanti altamente qualificati dal punto di vista umano oltre che tecnico ma pure allievi che abbiano un alto profilo personale per ottenerne i veri e radicati benefici.
Il dizionario ci ricorda che terapia significa aiuto, dal greco teraps cioè aiutante. Chi aiuta chi? Un insegnante di BJJ che si rispetti ha la funzione di permettere all'arte, cioè lasciandola fluire e dandole il largo, di aiutare il praticante. Senza sconfinare nell'analizzare l'auto-terapia che il professor di arte suave così facendo amministra a se stesso, desidero ampliare il discorso sulla funzione coadiuvante che una seria pratica effettua sulle componente tri-articolata dell'individuo (corpo-psiche-spirito).
Negli ultimi anni i miei studi finiscono per incrociarsi sempre tra loro; neuroscienze, arti marziali, filosofia e storia, dietologia etc etc. A ogni passo che compio finisco sempre per inciampare nelle mie stesse scarpe, mi scopro a riscoprirmi di continuo. Mi rendo conto che le mie limitazioni culturali m'impediscono di formulare chissà quali teorie di vasta portata, però nel mio piccolo mi rendo conto di una cosa: l'immane peso della cultura e della moderna complessità sociale ci schiacciano e ci rendono malati. A un certo punto l'equilibrio raggiunto dalla civiltà (quella classica cioè) tra uomo e ambiente, tra genotipo e fenotipo, tra sviluppo della tecnologia e mantenimento della fisica umanità si è rotto, è stato rotto. Oggi noi moderni viviamo semplicemente nella paranoia, lo stile di vita e i dis-valori che ci sono stati imposti ci stanno letteralmente facendo a pezzi, e l'infelicità è praticamente la regola. Siamo bestie così stressate da impazzire nella nostra gabbietta.
Lontani come siamo tenuti dalla nostra vera natura, è ovvio che il depauperamento delle risorse nervose sia diventato pandemico. A ogni falso bisogno imposto segue l'inevitabile frustrazione che ci provoca depressione, un senso di vuoto a cui non sappiamo dare un perché e che ci logora. Il senso della vita e i motivi veri per andare avanti nell'esistenza sono stati cancellati, annullati dal Potere al fine di asservirci tutti per sempre, dato che un animale impaurito e trememondo sarà debole e pavido, lui stesso desideroso della catena che lo soggioga come unico rifugio a cui votarsi.
Come diceva il professor Laborit nel quote, un perenne e assoluto status di inibizione affligge tutti noi. Invischiati nell'impossibilità di scaricare tramite una sana fisica opposizione lo stress, ci ammaliamo pesantemente. Il tri-uomo soffre e piano piano degrada, non c'è verso. L'impossibilità di lottare è patologia, capite? Le cosiddette 'persone normali' annegano nello stress, ci sono immerse sin dalla vita uterina e vanno in pezzi a causa dell'impossibilità di gestire questa cosa, finendo obnubilati dai "rimedi" pro domo sua che il Sistema ha escogitato per canalizzare a fini utili l'immane flusso di dolore: tv, droghe, shopping etc etc. Quello che voglio dire è che la mancanza di metodi per parare il colpo, per spurgare almeno in parte le tossine psichiche li uccide e tra i pochi che fanno qualcosina al riguardo ci siamo noi, lottatori e affini.
Mentre i 'signorini ben educati' cercano un'impossibile senso della vita negli shopping center e nelle telenovelas, i pochi che si aggrovigliano su un tatami, che pigliano a botte un saccone e spostano dei cosi pesanti -attività per le quali siamo geneticamente programmati- hanno una valvola di sfogo che permette la terapia, l'aiuto. Lo stress è qualcosa di fisico e la sua gestione e (parziale) eliminazione è beneficio senza pari, una chiave per la propria interiorità. Come ripeto continuamente, i popoli civili sapevano esattamente che le forze oscure pigiate nel subcosciente devono venir amministrate con cautela, fatte erompere ma senza esplodere, ed è per questo che erano sempre invariabilmente paesi di lottatori (nota: ed è sempre per questo che le arti tradizionaloidi/fossili, aumentando la frustrazione e la castrazione del praticante -che pongono sotto la tutela del guru di turno e allontanano da se stesso e dalla propria coscienza- sono deleterie ai massimi).
La fuga in avanti dell'essere umano ci ha regalato la scrittura, le scienze, il progresso e tante meraviglie ma il suo sviluppo è stato troppo rapido rispetto alla lentissima evoluzione del DNA che prende intere ere, e quindi ci sta sterminando. Aver sepolto il guerriero primordiale sotto una giacca con badge aziendale lo sta trasformando in una specie in via d'estinzione, vittima dell'abuso dell'intelligenza. La particolarissima forma di sub-civiltà narcocapitalistica odierna su base digitale è in un vicolo cieco e si sta suicidando, devastando Gaia. A meno che uomini di buona volontà non recuperino la virtù non ce n'è per nessuno ragazzi, si chiude bottega.
Ritornando al nostro buon vecchio Jiu Jitsu, mi posso ampiamente esporre e definirlo appunto terapia. Giocare alla lotta, sviluppare schemi motori e canalizzare l'aggressività, socializzare in un ambiente sano e non materialistico, imparare a squadrarsi allo specchio formato dal tatami e scoprire i propri demoni, sono attività benefiche ai massimi. Il bisogno ASSOLUTO del nostro DNA di manifestarsi per quello che è, il codice della vita di una creatura nata per essere libera e per vivere in serenità, è una forza che non conosce barriere e i furbi malvagissimi che ci governano come animali domestici lo sanno alla perfezione, avendo in basse a questa realtà creato una gabbia invisibile per la quale non c'è fuga se uno non se ne accorge. Ben poche Vie restano aperte per snebbiare l'occhio interiore a noi ominidi del secolo disneylandiano, ma nessuna in base alla mia esperienza ha la capacità di regalare salute sui 3 livelli al devoto e conscio praticante. Altre scienze tradizionali sono essenziali alla nostra evoluzione, ma se prima non si sradica il mal di vivere e si fertilizza il terreno, è impossibile in questi tempi bui ottenere alcunché salvo rare e confermanti eccezioni, io penso.
Afferrare, grugnire sotto sforzo, sudare e tremare, digrignare i denti e salivare pesante, ruzzolare e schiacciare, sollevare e sgattoaiolare via, insomma lottare e cioè affacciarsi al burrone delle proprie paure e vigliaccherie è una Via alla conoscenza di sé. Non è l'unica, non è la più elevata ma è la prima, la più basica e fondante. Noi siamo nati per esprimere noi stessi nella ricerca della coscienza, e reprimere la nostra vera natura lo rende impossibile. E questo è il più grande crimine. "C'è del marcio nel centro commerciale" direi quotando il M° Shakespeare, colui che nel suo magistrale Amleto descrive in fondo proprio l'individuo alienato dalla sua stessa natura e perciò eternamente insoddisfatto, malato di un dolore che non trova cura.
Io non sono un filosofo da strapazzo, sono solo un lottatore di Jiu Jitsu, ma so quel che dico, amici. La nostra arte salva le persone, gli permette di trovare -almeno parzialmente e a condizione che ci si dedichino con coscienza- un senso di pace costruttivo che il povero principe di Danimarca non conosceva, cioè alla pari del derelitto Giacomo Leopardi di qualche post fa. Può infatti parlare così infatti un fittizio regnante medioevale, ma mai avrebbe potuto Shakesperare mettere con credibilità simili concetti in bocca a un letterario condottiero dell'antichità grecoromana, un Leonida o un Adriano cesare, guerrieri e lottatori infulcrati nella fede nei loro Dèi, e quindi uomini sani e normali, con sani e normali rapporti umani e del tutto salvi da quel malanno moderno dell'uomo sfuggente.
A più riprese, sfidando il senso comune e il riso di certi miei colleghi, mi permetto di usare questo blog come un pulpito. Io conosco le potenzialità di questa nostra arte e mi son prefisso lo scopo di aiutare quante più persone ad aiutare se stesse, ecco quanto. Fate quel che vi pare, e soprattutto non date retta a me che non sono nessuno, ma fatevi soltanto il favore di risalire la china dello stress patologico: venite a lottare insieme a noi.
Finisco come ho iniziato, con una citazione:
"Respingo i principi base della civiltà moderna, specialmente l'importanza dei beni materiali."
Tyler Durden in Fight Club
1 commento:
Ciao Mario,
splendido post, hai toccato alcuni dei punti-chiave del disagio dell'uomo urbano moderno. Aggiungerei solo che l'inibizione ha un suo pericoloso alleato, insidioso e "seducente": la pigrizia. Più si è normalizzati dalla dinamica sociale-produttiva, più si è inibiti nel senso da te specificato, più la pigrizia tende a impedire di rompere il guscio e trovare i pur faticosi spazi di libertà e di lotta necessari.
Federico
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