lunedì, luglio 25, 2011


L'INSOSTENIBILE PESANTEZZA DELLO SPORT


Con la riflessione di oggi torno alla funzione indispensabile dell'arte del Jiu Jitsu quale "spazzino" dell'interiorità nostra, strumento di salute psicofisica.

Carini gli orsetti che giocano, vero?
Come tutti i mammiferi -umani compresi- i cuccioli di plantigrado crescono giocando a lottare tra di loro. Avete avuto altri post in cui ho spiegato l'ineliminabile funzione educativa della 'lotta' per gli esseri umani, e più di recente ne ho affrontato la funzione catartica negli adulti per lo stress introiettato nella vita quotidiana.

Lottare fa bene, lottare è non solo utile ma provvidenziale. Lottare è ANCHE uno sport inteso come attività regolamentata e organizzata a fini agonistici, e anche qui ci siamo: abbiamo spiegato molto assai la relazione costruttiva arte marziale/sport in tanti articoli, e pure quella distruttiva ove l'aspetto sport prevalga su quello arte fino ad annichilirlo.

Anche pensare troppo e troppo praticare una certa attività seppur non-agonistica è deleterio, però. Le fissazioni, di qualunque tipologia siano, rappresentano un vicolo cieco della mente e anch'esse ingenerano stress e malattia. Il bello di una passione finisce quando diventa ossessione, ricordiamocelo.

La reale caratteristica curativa del Jiu Jitsu e di arti consimili è quella di lasciar esprimere la vera natura dell'uomo, di permettergli d'infilarsi in un'attività totalizzante e libera, con pochissimi schemi, e dove il movimento fluisce come acqua dalla fonte. La parte più godibile e produttiva di ogni sessione è sempre il randori o sparring tranquillo, in cui istinto, tecnica e prestazione si fondono in un tutt'uno che ci dà così grande benessere. Avete mai lottato, amici? E' del tutto IMPOSSIBILE mantenere il malumore e i cattivi pensieri soliti quando ci si rotola, è fisiologicamente infattibile dato che si entra in uno stato alterato di coscienza, è una salubre fuga dai rimuginamenti e dalle circonvoluzioni mentali comuni per lasciar emergere un altro noi più vero e onesto, ed è proprio per questo che è così riposante uscire stremati dall'allenamento. Chi lotta da un po' diventa affamato di questo lavacro mentale quotidiano, Jiu Jitsu-dipendente, e finisce per innervosirsi quando non può aggrovigliarsi per più di qualche giorno.

In questo senso l'arte suave è quanto di più lontano si possa immaginare dalla moderna impostazione dello sport: numeri, tabelle, schemi rigidissimi da seguire, centimetri kg e pulsazioni da verificare con svizzera precisione, inflessibile rigore.

Stress amici, stress.

Certo un bellissimo stress, un doveroso impegno, ma faticoso per la nostra povera anima già così fiaccata da tanti pesi. Tanti anzi troppi amatori finiscono per caricarsi in palestra di una mole di lavoro superiore a quello che già subiscono in ufficio o fabbrica, e questo è devastante, altissimamente usurante per queste persone.

Come mai possiamo esprimere noi stessi, esseri nati per vivere liberi e creativi, se al già enorme carico disumanizzante impostoci dalla società contemporanea aggiungiamo quello aggiuntivo dello sport vissuto come se fosse lavoro?

Non facciamo confusione, non è che io levi odi alla pigrizia o al disimpegno, sarei un pessimo bugiardo, visto che mi alleno circa 7-10 volte a settimana. Affermo invece con assoluta certezza che la spirale insidiosa della iperprogrammazione e mega assunzione di impegni è lì davanti al serio amatore, che rischia di imitare il professionista di cui però non dispone dei mezzi (fisici e finanziari).

Troppo spesso incontro sportivi emaciati, bianchi come cadaveri, crettati dalle rughe e sfigurati dalle occhiaie. Non possono stare 10 sec. senza menzionare la scheda settimanale, il nuovo integratore, la curva di potenza in discesa etc etc. Stanno male, sono stressati ma non se ne rendono conto perché "lo sport fa bene". Il critico momento non viene giustamente interpretato e invece si va con il "più è meglio" fino all'inevitabile infortunio o crisi sistemica generale.

Ogni allenatore decente sa che la motivazione e l'esperienza date del gareggiare sono impagabili, ma sa anche che non si può tenere il 'tiro' da gara per molto tempo, pena il bruciare l'atleta, e la gestione dei momenti Off/Pre competizione è infatti uno degli skills più delicati. La costrizione e l'ansia da prestazione, la paranoia e la fatica che sono generate dalla data fatidica sul calendario infatti gravano tantissimo sulla psiche ed è doveroso ricordare la differenza tra chi si allena di mestiere e gli altri.

Per noi lottatori dilettanti lo sport DEVE essere divertimento in primis, una fonte di sollievo dai guai quotidiani e un momento di socialità senza fisime. Sarà un divertimento sudorifero e faticoso, un divertimento fatto di tecnica e di attenzione ai dettagli invece che di sbrago e idiozie da pallonari, ma sempre divertimento è. Meno è spesso meglio di tanto, bisogna tenerselo a mente, e lasciare che degli innocenti impiegati, professionisti e metalmeccanici possano entrare nella liberatoria trans della lotta senza eccessive aspettative da parte dell'allenatore. Per non incorrere nell'eccesso opposto e scadere nella mancanza di competitività, i migliori coach prevedono all'uopo turni agonisti separati, dove chi è nelle condizioni di farlo (ad es. studenti, ereditieri e disoccupati) possa trovare quella necessaria temeperie e fiamma di cui ha bisogno per misurare se stesso con profitto in gara.

Da parte mia mi piace notare che non ho mai visto:
1) un animale selvatico fuori forma
2) un animale selvatico nevrotico

e nemmeno un animale che si stra-stressi nel gioco e nel ruzzare con gli consanguinei!

Loro sanno quando dire basta, l'istinto da una parte e le dure necessità della sopravvivenza dall'altra danno loro la "tabella d'allenamento" corretta. Noi umani invece, che abbiamo perso entrambi, dobbiamo passo passo ritrovare l'Arte per sopravvivere alla mala vita moderna ma senza abusare della medicina, che altrimenti si tramuta in veleno mortale.

Il Jiu Jitsu fatto troppo duro e male è un Jiu Jitsu sbagliato, è un Jiu Jitsu monco del necessario e abbondante del superfluo e che non mantiene le promesse di salute e benessere per tutti. Quanto e come sia il troppo è argomento spinosissimo e impossibile da generalizzare, infatti parliamo dell'arte nell'arte e cioè dell'insegnamento..ma di questo vorrei discutere un'altra volta.



3 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Mario... come non condividere... come piace dire a me, quando si entra sul tatami per quel paio d'ore, ci si immerge in un altro stupendo universo regolato dalle sue personali leggi e regole, dove la realtà di tutti i giorni rimane fuori per default.

Faccio molta fatica a spiegarlo a chi non pratica, tuttavia ho idea che il tuo post mi aiuterà non poco.

Mario Puccioni ha detto...

"..quando si entra sul tatami per quel paio d'ore, ci si immerge in un altro stupendo universo regolato dalle sue personali leggi e regole, dove la realtà di tutti i giorni rimane fuori per default."

Caro anonimo, la tua sintesi è stupenda, la quoto.

Saresti così gentile da presentarti? Mi farebbe piacere. Grazie!

Anonimo ha detto...

Certamente!
Mi chiamo Marco, mi alleno a Roma nella Tribe di Federico.

I tuoi articoli sono sempre una gradita lettura!